Italiani buoni, ragazzo straniero cattivo: la storia crudele e istruttiva di Oussama

Noi italiani siamo buoni, ospitali, disponibili con gli altri. Ce lo diciamo spesso da soli. Quando smetteremo di farci dei complimenti, dovremo stare ai fatti, alla realtà, alle storie: come la storia esemplare e tragica di Oussama Darkaoui, 22 anni, marocchino, morto il 4 agosto scorso nel Centro per i rimpatri di Palazzo San Gervasio (Potenza). L’ha raccontata sul Corriere della Sera l’inviato Carlo Vulpio. Potete trovarla sul blog carlovulpio.it da cui l’ho tratta per riproporla ai lettori di questo blog. I due articoli sono stati pubblicati il 26 e il 28 agosto: li ripubblico in sequenza cominciando dal più recente.

 I documenti su Oussama. «Prima della sua morte mai ricoverato in ospedale»

di CARLO VULPIO

POTENZA. La morte di Oussama Darkaoui, il ventiduenne marocchino morto il 4 agosto scorso nel Cpr (Centro per i rimpatri) di Palazzo San Gervasio, in provincia di Potenza, appare sempre meno un «giallo» e sempre più un castello di bugie. L’ultima bugia in ordine di tempo, ma fondamentale per comprendere i fatti, riguarda il «profilo» che, subito dopo la morte di Oussama, si è voluto costruire di lui. Non potendolo descrivere come un criminale – il ragazzo non aveva alcun precedente penale ed è finito nel Cpr solo perché non aveva il permesso di soggiorno, per il quale sua zia Massira Harmouch, a Sondrio, stava cercando di mettere insieme la documentazione necessaria -, lo si è dipinto come una persona instabile, psicolabile, autore di atti di autolesionismo che ne hanno reso necessario il ricovero.

«Nei giorni precedenti alla sua morte, Oussama ha ingerito corpi estranei, forse pezzi di vetro, ed è stato ricoverato all’ospedale di Potenza», questo ripetevano autorità, medici e la direttrice del Cpr, e questo riferivano agenzie di stampa e tv pubbliche e private. A quel punto, il racconto dei fatti era già «orientato». Oltre alla morte, o forse l’omicidio, di Oussama, ecco anche la sua «character assassination», cioè la distruzione della sua reputazione. Se era «agitato», se ha ingoiato pezzi di vetro, se ha tentato il suicidio, se è finito in ospedale… Nulla di tutto questo. Oussama non è mai finito né in ospedale, né al pronto soccorso, e nemmeno ha mai fatto una visita medica in ambulatorio. Lo dimostra il documento dell’Azienda ospedaliera regionale San Carlo di Potenza – che il Corriere pubblica in esclusiva.

«Agli atti di questa Azienda, dalle verifiche esperite – scrive la Direzione sanitaria potentina – non risulta alcun ricovero e/o accesso in Pronto soccorso e/o ambulatoriale inerente a Darkaoui Oussama nato in Marocco il 01.01.2002». La lettera dell’Asl è dell’altroieri, mercoledì 27 agosto, e riguarda non soltanto l’ospedale di Potenza, ma anche gli altri quattro che fanno parte dell’Azienda ospedaliera regionale San Carlo, e cioè gli ospedali di Melfi, Lagonegro, Pescopagano e Villa d’Agri.

Per Oussama, dunque, detenuto nel Cpr da maggio scorso, non c’è mai stato alcun viaggio per ragioni mediche verso alcuno degli ospedali elencati. E tuttavia, nella «Relazione preliminare della visita al Cpr di Psg del 10 agosto 2024», cioè subito dopo la morte di Oussama, ciò che emerge è che il fatto falso diventa vero solo perché costantemente ripetuto «da chi di dovere», cioè da quel «muro di gomma» di figure istituzionali che avrebbero invece dovuto scalpitare per accertare la verità. Ma sembra che nessuno abbia niente da dire, nemmeno Catia Candido, la direttrice del Cpr (in appalto alla cooperativa «Officine sociali»), che ieri ci ha risposto soltanto di essere «impegnata».

La «Relazione» sul lager di Psg (il Cpr viene definito proprio così) è il risultato di due visite ispettive svolte da parlamentari, consiglieri regionali, medici, avvocati e sindacalisti, l’Asgi (Associazione studi giuridici sull’immigrazione), la Cild (Coalizione italiana libertà e diritti civili) e il Tavolo Asilo. Ed è un documento che suscita orrore e vergogna. In cui si denunciano «la mancanza di trasparenza e di rispetto delle regole da parte del prefetto di Potenza», Michele Campanaro, e «le continue resistenze» da parte del questore Giuseppe Ferrari, e del ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, «persino all’ingresso dei parlamentari nel Cpr». Intanto, la salma di Oussama è ancora depositata nell’obitorio di Potenza, la famiglia reclama il corpo del ragazzo e dall’Ambasciata del Marocco cominciano a chiedere spiegazioni.

Carlo Vulpio, Corriere della Sera, 29/8/2024

«Mio figlio Oussama sognava di aiutarci dall’Italia. Ora ridatemi il suo corpo»

di CARLO VULPIO

CUNEO. Non si può morire così. Non puoi abbandonare il Marocco che non hai nemmeno 18 anni, come hai fatto tu, Oussama Darkaoui, per inseguire il sogno di diventare un calciatore perché eri molto bravo con il pallone, tanto che ti chiamavano Messi, poi sopravvivere attraversando l’Europa per quattro anni e infine arrivare in Italia e morire proprio all’ultimo miglio, il 4 agosto 2024, a 22 anni e mezzo, a Palazzo San Gervasio, Potenza. In un Cpr, ossia un Centro per i rimpatri, che altro non è che un campo di detenzione. Partisti senza soldi in tasca e con solo un fagotto da Mouhammadia, 25 chilometri da Casablanca, nel 2019, all’inizio dell’era Covid. Raggiungesti Tangeri, scavalcasti la recinzione metallica del grande e moderno porto Tangeri Med e ti attaccasti sotto alla pancia di un camion che salì a bordo di una nave diretta a Tarifa o ad Algeciras, in Spagna. Qui, prima a Lugo, nell’estremo nord, e poi a Madrid, tenesti duro in due centri per immigrati – che tuttavia non sono come i nostri Cpr, sottratti persino alle norme dell’ordinamento penitenziario -, perché la tua meta finale era l’Italia, Sondrio, dove vive tua zia Massira, la sorella di tua madre Leila Harmouch, che ora non finisce mai di piangerti.

L’ultima tappa

Dalla Spagna raggiungesti la Francia, Parigi, dove cercasti di sopravvivere lavorando in nero, ma ti fu presto chiaro che quella era una illusione, anche perché Parigi costava tanto, troppo. Allora, via, in Germania, a Berlino, in un altro centro immigrati, forse il migliore di tutti, visto che lì ti hanno anche curato un dente cariato, altro che gli psicofarmaci somministrati a forza ai detenuti dagli «italiani brava gente» nel Cpr di Palazzo San Gervasio. Dalla Germania, l’Italia era un po’ più vicina, bisognava solo attraversare la Svizzera, e tu riuscisti a percorrere anche quest’altra tappa, fino al confine con l’Italia e oplà, eccoti a Sondrio da zia Massira. Marzo 2024. C’erano da fare «solo» i documenti, perché non avevi il permesso di soggiorno. Ma bisognava avere la residenza, e per ottenere la residenza occorreva prima il passaporto, e per avere il passaporto ci voleva prima la carta di identità, mentre tu avevi solo il tuo bel foglio di identità di colore verde che non era sufficiente, e insomma tra comune, consolati, uffici vari e scale da salire e scendere, ci voleva tempo. E così tu dicesti a tua zia: «Devo lavorare, mandare un po’ di soldi a casa, mio fratello Mouhamed Amin ha perso un occhio in un incidente e ha bisogno di cure, mia madre ha una grave forma di diabete e ha bisogno di medicine. Mi hanno detto che ai mercati ortofrutticoli di Napoli cercano manovali. Vado lì e tu, zia, nel frattempo, provvedi ai miei documenti. Appena saranno pronti, torno a Sondrio e prendo la residenza».

Niente lieto fine

Non hai fatto in tempo. Avevi appena inviato duecento euro ai tuoi, i tuoi primi risparmi, che a Napoli ti hanno fermato. Clandestino. Irregolare. Non avevi nemmeno precedenti penali di alcun tipo, ma qui funziona così, per finire in un Cpr basta questa violazione amministrativa. E ti portarono subito nel Cpr di Psg, acronimo beffardo, che suonava come la famosa squadra di calcio parigina. Lì hai trovato la morte. Il tuo lungo viaggio, Oussama, si è concluso così, senza il lieto fine di «Io capitano», il film di Matteo Garrone, bello e poetico, perché la vita non è quasi mai poesia, e la tua, Oussama, di sicuro non lo è stata. Del resto, quanto vale una vita? A chi interessa di una vita qualunque? E sono tutte uguali le vite di ciascun essere umano? No. Purtroppo. Ma c’è la tua famiglia, tua madre Leila, tuo padre Abdellah, i tuoi fratelli Abdelhak, Mahdi e Mouhamed Amin. A loro di te interessa. Ai tuoi amici, quelli che ti chiamavano Messi, e alla tua città, Mouhammadia, di te interessa. Alle tv e ai giornali del Marocco, al governo, al re Muhammad VI, la tua vicenda interessa. Vogliono tutti la verità sulla tua morte. Sei il loro Giulio Regeni, purtroppo. E tutti ti aspettano, per salutarti con un giusto funerale e una degna sepoltura. Ma il tuo corpo, anche dopo l’autopsia disposta dai magistrati, che hanno detto di «non escludere l’omicidio», a venti giorni dalla tua morte, è ancora lì, in una cella frigorifera dell’obitorio dell’ospedale di Potenza. Si chiama burocrazia.

Il dolore di Leila

Senti cosa dice tua madre, Oussama. Abbiamo parlato con lei in videochiamata da Cuneo, dove vive Safaa, tua cugina, che ci ha fatto da interprete. Safaa ha trent’anni ed è felicemente in Italia da venti. A Cuneo, Safaa lavora, ha due bambini, frequenta la moschea, come gli ebrei la sinagoga e i cristiani le proprie chiese (un po’ meno). Cuneo ha 56 mila abitanti e oltre settemila immigrati, cioè il 13 per cento, i quali per lo più fanno mestieri che gli italiani non vogliono o non sanno più fare. Quando Safaa ha saputo della tua morte, da Cuneo, con il marito e i due bambini, si è precipitata in macchina a Potenza. Da dove è tornata sconfortata.

Ecco perché era necessario ascoltare Leila, tua madre. La sua implorazione non è meno straziante di quella di Priamo affinché Achille gli restituisca il corpo del figlio Ettore. «Voglio il corpo di mio figlio – dice Leila -. Per favore. Vi supplico. Perché dopo averlo ucciso lo trattenete ancora lì in Italia? Oussama era un ragazzo molto buono, tutti gli volevano bene. E’ andato via da qui per aiutare la nostra famiglia, e invece ha trovato la morte. Una morte assurda, crudele. Chi lo ha ucciso ne risponderà davanti a Dio, ma la giustizia degli uomini, se esiste, deve dirci qual è la verità sulla morte di Oussama. Tutto questo è disumano. Dove sono i diritti umani di cui tanto parlate in Europa? Perché un ragazzo senza permesso di soggiorno finisce in un posto che è peggiore del carcere? Di una cosa sono certa, però. Oussama non si è suicidato. Nella sua ultima chiamata, il giorno stesso in cui è morto, mi ha detto che sarebbe uscito da quel centro il 20 agosto. Quindi il suicidio non avrebbe avuto senso. Ma se non si è ucciso vuol dire che lo hanno ucciso: ne sono sicura, lo sente il mio cuore di madre, e voglio la verità. Tutti noi qui vogliamo la verità».

I sospetti e le accuse

Leila ha appreso della morte del figlio nella maniera più brutale. «L’ho visto in foto, morto, su Facebook – continua -. Hanno pubblicato quella foto perché qualcuno potesse identificarlo con certezza. Era l’8 agosto, quattro giorni dopo la sua morte. Non ho capito più nulla. Sono svenuta. Oussama era lì, in quella foto, con gli occhi chiusi, e io non potevo nemmeno abbracciarlo».

Tua madre e tutti quelli che ti conoscevano, anche al Cpr, ti descrivono come un vero atleta, alto un metro e ottanta, dicono che non fumavi né bevevi, e che avevi tanta voglia di vivere. Ma Leila ci racconta anche un altro particolare allucinante. «Ho parlato con diversi suoi compagni di prigionia – dice Leila –. Mi hanno tutti riferito che Oussama è stato picchiato selvaggiamente e poi trascinato via come un animale e abbandonato per terra. E che dopo tutto questo, forse per farlo rinvenire, gli hanno fatto una iniezione endovenosa, che però gli è stata fatale: lo hanno visto scuotersi e morire lì, per terra, con la bava che gli fuoriusciva dalla bocca».

Oussama è collassato nel pomeriggio del 4 agosto. Il giorno successivo, alle 17, ne è stato «constatato il decesso». Nessuno in quelle 24 ore lo ha soccorso. I magistrati stanno sentendo diversi testimoni, tra detenuti e personale del Cpr, e altri ne sentiranno. Soprattutto fra i 14 prigionieri che sono stati rilasciati – con provvedimento del questore Giuseppe Ferrari ben prima della scadenza dei termini di «trattenimento» – subito dopo la morte di Oussama e la rivolta nel Cpr che ne è seguita. Quei 14 si sono poi dati alla macchia, ma li stanno cercando e qualcuno lo hanno già rintracciato. Sono tutti potenziali testimoni di «un omicidio che non si può escludere». Il tuo, Oussama.

Carlo Vulpio, Corriere della Sera, 26/8/2024

carlovulpio.it

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