Raffaele Fitto, dalla cavalla raccomandata ai vertici Ue: l’ascesa dell’ex ragazzo prodigio, nel nome del padre

La tragedia familiare che determinò l’ingresso in politica. Il calcio, il carattere ribelle, le difficoltà scolastiche, il rapporto con gli elettori, la sfida ai maggiorenti della Dc. Così cominciò la storia…

Raffaele Fitto, 55 anni, pugliese di Maglie (Lecce), sarà nuovo vicepresidente esecutivo della commissione europea. Raggiunto l’accordo sulle nomine: oltre a Fitto, ministro del governo Meloni, sarà vicepresidente anche la spagnola Teresa Ribera. Ripropongo un vecchio ritratto che scrissi nel 2000. Fitto aveva appena conquistato la presidenza della Regione Puglia, ricoprendo il ruolo che era stato del padre Salvatore. Quell’articolo, con il titolo Nel nome del padre, fu pubblicato dall’Almanacco Salentino 2001, curato dai colleghi Marcello Tarricone e Roberto Guido, due vecchi amici. Fu Marcello ad accompagnarmi da Fitto. Parlammo a lungo. Quel ritratto, vecchio di 24 anni, è fermo al primo periodo dell’attività politica di Fitto. Ma credo contenga degli elementi utili a comprendere chi è uno degli uomini attualmente più influenti nel panorama politico.

Raffaele Fitto a dicembre 2000, dopo avere conquistato la presidenza della Regione Puglia

di TONIO ATTINO

“Siamo in recupero, ce la facciamo: vinciamo sicuramente”. L’ultima volta che si sono lasciati incoraggiare da una specialità degli avversari, il sondaggio, gli uomini del centrosinistra sono stati fulminati da un giovane con la faccia da capoclasse. Il 16 aprile 2000, smentendo il pronostico secondo cui “lui prenderà i voti di Lecce, ma non quelli di Bari”, Raffaele Fitto ha conquistato quasi un milione 200mila voti superando con un distacco di 10 punti percentuali Giannicola Sinisi, magistrato, ex sindaco di Andria e sottosegretario del governo Prodi. Candidato del Polo, è diventato così il primo presidente della Regione Puglia eletto direttamente dai cittadini e, dodici anni dopo, il secondo della sua famiglia.

Trentuno anni, nato a Maglie, Raffaele Fitto viene dalla Democrazia Cristiana e non l’ha mai dimenticata: in fondo è la sua famiglia. Alla fine degli anni Ottanta, quando il partito non era stato ancora demolito dal tifone di Tangentopoli, presidente della Puglia era il padre Salvatore. Eletto nell’85 fu, a 44 anni, il più giovane presidente di Regione. Ma la sera del 30 agosto 1988 un terribile incidente se lo portò via. Morì anche il suo autista, Lorenzo Capodiferro. Salvatore Fitto tornava a casa dopo avere partecipato, a Taranto, alle esequie di Nico Monfredi, parlamentare democristiano, anch’egli deceduto in un incidente stradale. Fitto junior, che tre giorni prima aveva compiuto 19 anni, ai funerali del papà ringraziò migliaia di persone che affollavano le strade di Maglie. “Fino ad un’ora fa eravamo distrutti. Però quando siamo usciti da casa ed abbiamo visto tanta gente, ci siamo subito ripresi. Ci avete dato forza e ci darete la forza di continuare. Ci avete anche fatto capire una cosa: che papà continuerà a vivere nei nostri e nei vostri cuori”, disse. E ne raccolse l’eredità politica. “Non me ne accorsi”, ricorda, “Soltanto dopo capii ciò che avevo fatto. Da allora la gente che era stata vicina a mio padre cominciò a essere vicina a me. Con la morte di mio padre la vita è cambiata. E sono cambiato molto anche io”.

Fitto nel suo studio di Maglie accanto alla foto del papà. L’immagine è del 2000

Questo è l’inizio della storia, un decennio di politica: la prima candidatura, il ruolo determinante della sua più preziosa consigliera, la mamma Leda, il conflitto con i notabili della Dc mentre il partito declinava, la voglia di mollare tutto mettendosi a studiare da notaio accanto allo zio Fulvio, le centinaia di telefonate al giorno, le richieste di raccomandazioni, le pacche sulle spalle, la problematica vita sessuale delle cavalle di provincia. “È la raccomandazione più curiosa che mi abbiano mai chiesto. Mi telefonò un allevatore, disse che doveva fare accoppiare la sua cavalla e non aveva uno stallone. Si rivolse a me”. Poteva, il giovane Fitto, lasciare in ambasce un elettore? Prontamente, prese il telefonò e chiamò, affinché mettesse fine a questo spiacevole caso, l’onorevole Zurlo, collega democristiano, presidente dell’Unione nazionale per l’incremento delle razze equine, l’Unire. Una quisquilia.

E ora, quante raccomandazioni riceve al giorno, il presidente-governatore della Puglia? “Intanto preferisco il termine presidente. Governatore è un termine giornalistico. Non mi piace. Comunque sia, oggi il rapporto con la gente è meno diretto, è cambiato, c’è maggiore difficoltà ad avere contatti con me, è inevitabile. Un po’ mi dispiace, ma è così. Prima stavo ogni giorno per strada, oggi la sfida è avere la capacità di pensare alle problematiche di interesse generale in una regione che ha più di quattro milioni di abitanti distribuiti in aree molto diverse tra loro. Ma non bisogna scandalizzarsi quando si parla di richiesta di raccomandazioni. Chi le condanna mi fa ridere, anzi peggio: perché è sempre pronto a richiederle e disponibile ad accoglierle. Se il cittadino ha un problema, per esempio con la burocrazia, va sostenuto. Bisogna tenere presenti le esigenze di tutti. E poi ci sono casi disperati”

Conteso dalla destra e dalla sinistra (“D’Alema mi voleva con lui, ci ha provato tre volte, fino al ’97”), Fitto ha fatto in dieci anni ciò che normalmente agli altri politici riesce, quando riesce, in trenta. Consigliere regionale con la Dc nel ’90 (75.366 preferenze, nessuno meglio di lui in Italia). Assessore al turismo e segretario regionale del Partito popolare nel ’94. Vicepresidente del Consiglio regionale un anno dopo quando viene eletto, con nuovo sistema e la preferenza unica, con 23.572 voti riconquistando il titolo di candidato più suffragato d’Italia. Tra i fautori della diaspora del Ppi che propizia la nascita del Cdu di cui diviene vicesegretario nazionale spalleggiando Rocco Buttiglione. Ne esce nel 1998 non condividendone la confluenza nell’Udr di Francesco Cossiga. E con una prova di autonomia e forza elettorale nel momento di massima ascesa di Forza Italia, fonda il Cdl, movimento regionale che lo sostiene nelle elezioni al parlamento europeo. Candidato di Forza Italia, ma con la “qualifica” di indipendente, viene eletto: 127.513 voti nella circoscrizione meridionale, cioè Puglia, Basilicata, Abruzzo, Campania, Calabria e Molise. Per numero di preferenze è al secondo posto dopo Berlusconi, ma in provincia di Lecce è primo. Il Cdl conquista il 9,5 per cento dei voti in Puglia. Si intuisce che questo è il politico con cui sinistra e destra dovranno fare i conti. La sinistra perché se lo ritroverà come avversario non essendo riuscita a trascinarlo con sé (“nel ’94 mi offrirono la presidenza in cambio del ribaltone, ma rifiutai”, dice Fitto); e gli alleati perché sanno quanto sia difficile tenere nel partito uno che, da solo, si sente un partito. Però Berlusconi, vincendo le resistenze di Alleanza nazionale che insiste per la riconferma del presidente in carica, lo sceglie come successore di Salvatore Distaso alla guida della Puglia. Ed eccolo qui. Presidente, una laurea in giurisprudenza, un passato di scalmanato contestatore, un padre famoso che se n’è andato troppo presto.

Nel 1994 si laurea all’università di Bari alla fine di un tortuoso percorso di guerra. Le scuole superiori, liceo scientifico, sono un martirio. Pochi voti e tutti vergognosamente bassi. Più volte rimandato. Un inconsueto capoclasse asino. “Diciamo che non ero un grande studioso”. All’università mette un po’ di impegno: supera economia politica al secondo tentativo, diritto commerciale al terzo, procedura penale al quarto con il professor Perchinunno che avrebbe ammazzato volentieri col gas. Ma ora – dice cortesemente rendendogli merito – “gli sono grato, mi ha insegnato tante cose”. Discute una tesi sull’iniziativa legislativa dei consigli regionali a statuto ordinario, relatore il professor Lojodice, votazione 108. “Mi venne facile, facevo da quattro anni il consigliere regionale”. Poi gli viene voglia di mollare tutto, non si ricandida alla Regione e si rivolge a suo zio, Fulvio Carnicelli, notaio, affinché lo aiuti a svoltare. “Volevo fare il notaio anch’io, ero già pronto per il corso”. Chissà che cosa gli frulla per la testa. Ma gli passa presto.

Eletto segretario del Ppi dopo avere contestato i maggiorenti locali che controllavano il partito e Ciriaco De Mita, arrivato in Puglia per benedire la sinistra del partito e condurla alla vittoria, capisce che è quello il suo mestiere. Il voto palese l’avrebbe stritolato. A scrutinio segreto prende il 55 per cento dei voti. Vince il congresso. De Mita fa capire che è “moldo moldo amareggiado” e se ne torna a casa battuto da un ragazzino. Segno che qualcosa sta cambiando: il giovane Fitto è riuscito a sconfiggere nel Ppi quella Dc in cui era vissuto il padre, che però non si chiamava più Democrazia cristiana.

“La mia candidatura era perdente. Nel ’92, al congresso provinciale della Dc, era cominciato lo svezzamento. Venne eletto Gianfranco Manco con l’88 per cento dei voti. Lo votarono tutti. Io no. La De era ormai moribonda, c’era una degenerazione che si avvertiva. Io stavo all’opposizione, feci un giornaletto. Si chiamava ‘Press’, un quindicinale con cui rompevo le scatole a tutti in modo clamoroso”.

Non si direbbe che questo capoclasse trentunenne senza neppure un capello fuori posto, cresciuto dai frati cappuccini facendo il chierichetto, abbia guidato l’auto a 16 anni a rischio di imbattersi in un vigile che non conosceva il padre (difficile, però), scorrazzato con motorini “truccati” con i soldi dello champagne rubato a casa e venduto al migliore offerente o, ancora, abbia fatto il rivoluzionario moderato: che è una cosa stramba per definizione. Ma lui stava al centro, il movimento giovanile della Dc. Prendeva a cazzotti gli insopportabili compagni. Uno: l’attuale sindaco di Melpignano, il diessino Sergio Blasi. Se le diedero di santa ragione. Era il 1985. “Piccole risse” le chiama Fitto. Per la politica, per le ragazze, per divertimento. Studiava poco, niente. “Ricordo un anno, al liceo scientifico organizzai una decina di scioperi. Un giorno ci sedemmo tutti in piazza, per protesta. Mio padre era capogruppo al Comune, gli creavo qualche imbarazzo per tutto quel macello, si incazzava parecchio, ma in fondo credo che, senza giustificarmi, perché da padre non poteva, si compiacesse del mio modo di fare”.

Per contrappasso 15 anni dopo, il 27 novembre 2000 gli incazzatissimi lavoratori socialmente utili in attesa di una proroga per avere un salario e tirare a campare lo hanno preso a pugni dinanzi alla sede della Regione prima che potesse raggiungere la sua auto. I pugni li ha sferrati uno soltanto, ma tutti gli altri hanno solidarizzato con il pugile. Capitanati dal barbuto Ernesto Palatrasio, un militante dello Slai Cobas molto più a sinistra di Bertinotti e equivalente pugliese della deputata napoletana Mara Malavenda, una grande produttrice di emendamenti parlamentari (pensate un numero: di più), i lavoratori hanno verificato sul campo ciò che Fitto docilmente ammette: “Io un tempo praticavo lo scontro attivo, oggi quello passivo”. Ma non è il caso di raccontarlo troppo in giro. I lavoratori socialmente utili in Puglia sono più di 7.000 e Palatrasio potrebbe tornare con la sua Fiat 500 piena di bandiere rosse.

Quale mestiere avrebbe potuto fare allora un tipo del genere, in campagna elettorale da una vita? Andava ai comizi, bivaccava nelle segreterie politiche, aiutava il fratello maggiore, Felice, oggi ortopedico, ad attaccare i manifesti. Io ho sempre seguito l’attività di mio padre, quando nacqui lui era sindaco di Maglie, ho vissuto nella politica dalla nascita”.

Ecco, tutto qua. Un predestinato. Al massimo, con molta buona volontà, poteva tentare la carriera di calciatore. Giocava da mediano nella squadra della sua città, nel Maglie allenato da Pippi Leo, quarta serie, campionato 86-’87, 18 presenze e terzo posto in classifica. Ora probabilmente tutti, compresa la cavalla raccomandata, sono pronti a dire che Raffaele Fitto era un fuoriclasse e, fosse stato per un infortunio, sarebbe ai livelli del difensore Marcello Marrocco “che giocava con me ed ora sta in Scozia, nel Dundee”. Ma un giorno, ceduto al Calimera, campionato di Promozione, il mediano Raffaele Fitto, ricadendo dopo un colpo di testa sentì crack, si ruppe i legamenti e chiuse la carriera. Il calcio non se ne accorse, lui si. Fu operato a Roma dal professor Perugia, il chirurgo dei grandi campioni, conobbe Sebastiano Nela, terzino nella Roma di Falcao, appena uscito dalla sala operatoria anche lui, e si sentì almeno per un po’ in serie A. “Facemmo insieme la riabilitazione”. In campo adesso ci torna solo per le partitelle tra amici o per beneficenza. Il ginocchio scricchiola ancora.

Il Maglie Calcio nel campionato 1986-87, Fitto nella fila centrale è il primo a destra

Non era tagliato per fare il chitarrista. Gli piaceva, ci provò, ma era svogliato. La chitarra gliela regalò il padre. Dopo dieci giorni, la vendette per 70mila lire. Come i proventi dello champagne, anche questo danaro era destinato al meccanico per il potenziamento della moto. Così, intuendo precocemente quale fosse nel mondo civile e democratico il peso dell’informazione, Fitto si portava dietro la custodia priva di chitarra, ma piena zeppa di giornali. Una truffa. Raccontava, trascinandosela come se pesasse davvero, che andava a lezione di musica. E i genitori gli credevano. Si poteva immaginare già allora che avrebbe fatto politica.

Ora i giornali li legge e gli capita di querelare i giornalisti. “Hanno scritto tutto su di me, ma una volta soltanto ho querelato, non potevo farne a meno perché erano state scritte troppe menzogne”. E sa benissimo che gli altri ti concedono solo ciò che tu ti prendi. Così polemizza con l’amministratore delegato dell’Enel, Franco Tatò, accusandolo di volere l’Acquedotto pugliese a prezzi di liquidazione (“invece noi dobbiamo pensare a risolvere i problemi della Puglia”). E dice, facendo davvero la faccia sorpresa, che non capisce tutto quel battage per l’arrivo a Bari di Romiti, presidente della Rizzoli Corriere della Sera, a dare la benedizione al “Corriere del Mezzogiorno”, che poi è il giornale che ha querelato. “Sì, va bene, Romiti è Romiti. E allora? Io sono il presidente della Regione”. E si capisce che, nonostante militi in un partito di aziendalisti e liberisti governato da un grande imprenditore come Berlusconi, il teorico del “lasciateci lavorare”, non gli sta bene la politica genuflessa all’industria mentre lui ha conosciuto da bambino l’industria genuflessa alla politica.

Fitto, autonomo anche da Forza Italia, è un potere nel potere. Forza Italia è Forza Italia, Fitto è Fitto: lo capì anche Pinuccio Tatarella che, dopo averlo snobbato, ne diventò amico. Diversamente da decine di parlamentari inventati dal partito, Fitto ha una sua dote che potrebbe portare con sé dovunque: elettori che non seguono i programmi elettorali opposti ma curiosamente simili. Seguono lui. Perciò piace o non piace, è un genio o un padrino, un politico illuminato o la riedizione di Gava, Gaspari e Cirino Pomicino messi insieme. Sta a destra, per il momento. Ma rassicura gli alleati dicendo “io dal centrosinistra sono distante” proprio in vista della disfida di Gallipoli: l’ex premier Massimo D’Alema contro Alfredo Mantovano di Alleanza nazionale. E sa che la sua mano potrebbe essere decisiva.

Da qualunque angolazione politica lo si guardi, Fitto è, per la capacità di raccogliere voti in Puglia, un fenomeno. Coccolato da Berlusconi con il quale ha “un rapporto diretto, non mediato e ne sono orgoglioso”, è assai apprezzato da D’Alema fin dai tempi del vertice gastronomico anti-destra con Buttiglione al ristorante “il Bastione” di Gallipoli (1994). D’Alema, commissario regionale del Pci fino all’86, cioè ai tempi di Fitto padre, non perde occasione per ricordarne la lealtà, e conclude con una lode a Fitto figlio. Non nasconde la sua amarezza per avere lasciato agli avversari del Polo un politico così abile nel mettere insieme vecchi brandelli della Democrazia cristiana travestita da Forza Italia ridandole l’orgoglio di squadra vincente. Arruolando anche chi, quando giovanissimo era all’opposizione o faceva la fronda a un marpione come De Mita, stava con la maggioranza di dinosauri che gli faceva una così brutta impressione.

Ora che ha dieci anni di politica professionistica, Raffaele Fitto analizza la sua storia e dice che c’è stato, nella sua ascesa, molto calcolo, ma non troppo. Perché niente di quanto è avvenuto sarebbe successo se, scomparso il padre, non si fosse trovato al crocevia di tanti eventi irripetibili. “Tanti eventi, è vero. Anzitutto l’onda emotiva per la morte di mio padre nonostante fossero passati due anni dalla sua scomparsa. Poi la politica che stava cambiando. Mio padre fu eletto alla Regione, da capolista nella Dc, con 65 mila voti. Io nel ’90 ero sicuro di essere eletto con 35mila voti. Ne presi 75mila. Non me l’aspettavo. Raccolsi voti anche in Comuni in cui non avevo nessun sostegno. A Lecce me ne aspettavo 1.500. Ne arrivarono quasi 10mila. Oggi tutto questo non potrebbe più accadere”.

Dice che presto rileggerà il suo programma elettorale per un breve training autogeno, cioè per darsi ragione allo specchio: “Che cosa voglio fare in Puglia? Dare un’identità unica a una regione che è divisa e disomogenea, creare infrastrutture e occupazione, sostenere piccole e medie imprese anche con una legge come la 488 regionale che darà grandi risultati, migliorare la viabilità, privatizzare gli aeroporti, dare ai pugliesi una adeguata formazione, fare in modo che la Puglia possa convivere bene con i flussi migratori, fare crescere turismo e artigianato, sburocratizzare la Regione. Quando lo rileggerò, il programma, avrò la conferma che molte di queste cose sono state fatte, e altre messe in cantiere. In fondo, anche con la vertenza dei lavoratori socialmente utili il risultato l’abbiamo raggiunto, ottenendo dal governo i fondi nella finanziaria fino al 2003 per poi stabilizzare i posti di lavoro in società miste. Certo, 7.010 persone non può assumerle la Regione”. Per il momento, ha stretto la mano ai rivoltosi. Si sono incontrati. Non c’era il pugile che gli ha sferrato il cazzotto. “Non c’era, ma c’erano i suoi amici. Incidente chiuso. Ho ritirato la denuncia, hanno capito che avevo ragione, mi hanno regalato un libro sulle Gravine di Taranto”.

Prevede, ovviamente, che “Berlusconi vincerà le elezioni e sarà un ottimo presidente del Consiglio”. Ma è diverso da lui: non ama i sondaggi. “Sono scettico. Però devo riconoscere che alle scorse elezioni Datamedia mi ha presentato una previsione perfetta. Si è scostata dal risultato per lo 0,2 per cento, un niente. Sondaggi diversi da quelli del centrosinistra. Ma io non so se poi questi sondaggi c’erano davvero. Secondo me se li erano inventati. Volevano farsi coraggio”.

Quando fa lo spiritoso, sembra D’Alema.

Maglie, 30 dicembre 2000


(Le immagini
sono tratte da
Almanacco Salentino 2001.
La foto di copertina
dal sito raffaelefitto.com)


Chi è Raffaele Fitto
(dall’Ansa)

Lascia un commento