di TONIO ATTINO
CRACO (MATERA) — «Il petrolio? Non serve a nulla. È una strategia del passato». L’avamposto del fronte antitrivelle è in un paesino di 762 abitanti a 55 di chilometri da Matera, la capitale europea della cultura 2019, e a 45 chilometri da Gorgoglione, dove la Total ha trivellato il pozzo petrolifero più profondo d’Italia, settemila metri, uno dei 471 pozzi perforati da quando la Basilicata è considerata il Texas italiano. Ce ne sono in produzione attualmente 39. A Craco, neppure uno. «Per fortuna» dice il sindaco Pino Lacicerchia.
Eletto nel 2009 con una coalizione di centrosinistra e confermato quest’anno (ma era stato già sindaco dal ‘95 al ‘99), Lacicerchia anima la protesta di una quarantina di sindaci contrari alle trivellazioni petrolifere. «Una quarantina su 131 comuni» dice. A Craco, l’11 ottobre, si sono riuniti in Municipio sollecitando il presidente della Regione Basilicata a ricorrere alla Corte costituzionale contro il decreto Sblocca Italia per sventare altre perforazioni. Nella classifica 2010 di Legambiente, Craco era il primo comune italiano per le energie sostenibili. Ma i 4315 chilowatt di potenza installata allora con impianti fotovoltaici, sono saliti negli ultimi quattro anni a 6000 chilowatt. Cosicché ogni crachese, per uso domestico, consuma poco meno della metà dell’energia elettrica prodotta sul suo territorio. «Ma nel bilancio energetico vanno però conteggiati anche i consumi di metano e gasolio e i consumi industriali e agricoli» puntualizza il sindaco. Un altro megawatt di potenza verrà aggiunto da un nuovo impianto privato, ora non in funzione semplicemente perché qualcuno di notte si è portato via i pannelli. Il Comune ha installato suoi impianti fotovoltaici, 125 chilowatt. «Arriveremo a 262. Oggi per gli uffici pubblici di Craco, anche la scuola, siamo autosufficienti al 30 per cento. Possiamo arrivare al 100 per cento con i piccoli impianti da installare sui tetti».
Desolata e silenziosa, Craco è conosciuta soprattutto per il suo paese fantasma, il bellissimo centro storico arroccato su un colle sovrastato, a 391 metri, dalla torre normanna. Fino al 1963 il paese era questo. Poi una frana lo fece scivolare verso valle e gli abitanti vennero trasferiti sette chilometri più giù, nella frazione di Peschiera. Quando si trattò di salvare «ingegnosamente» Craco vecchia con un sistema di muri di contenimento e palificazioni – costarono 900 miliardi di lire – si ottenne l’effetto contrario: pesavano più della frana. Così il paese scivolò ancora e dopo il terremoto del 1980 la storia si chiuse per sempre. Craco vecchia è ormai un monumento, un paese fantasma con zero abitanti e qualche «medaglia al merito»: Francesco Rosi nel 1978 ambientò qui alcune scene del suo «Cristo si è fermato a Eboli», Mel Gibson nel 2003 vi girò «The passion». Craco Peschiera, erede del paese postfrana, è un pianoro che avrebbe dovuto ospitare provvisoriamente i crachesi dentro case popolari. Si capì sùbito che non c’era nulla di provvisorio. Questo pezzo di Sud si è spopolato gradualmente con un andamento in picchiata. I 1821 abitanti del 1951 divennero 1871 nel 1961; poi 1350 nel 1971; 1083 nel 1981; 971 nel 1991; 796 nel 2001. «Ora siamo a 762» dice l’impiegata dell’ufficio anagrafe.
Nell’anno di scarsa grazia 2014, Craco ha un’economia povera fondata sull’agricoltura e chi può emigra ancora. Eppure rifiuta il modello del petrolio che finora ha portato in Basilicata, dal 2001 al 2013, royalties per un miliardo 158 milioni di euro, oltre 122 milioni a Viggiano, la capitale petrolifera della Val d’Agri. «Il petrolio ci porta qui l’inquinamento» dice la giovane Teresa Lorubbio, responsabile dell’Arci. Il sindaco mette in guardia sulla contaminazione della falda e tutti ricordano il febbraio del 2013, quando il ponte costruito agli inizi del Novecento sulla strada per Pisticci crollò di colpo. Non fu il terremoto o un’alluvione: fu per il passaggio di una delle centinaia di autocisterne cariche di acqua di scarto proveniente dai pozzi del petrolio. «Per produrre un barile di petrolio si usano otto barili di acqua – dice Lacicerchia – ed è un rifiuto speciale. Arriva con le cisterne al Tecnoparco Valbasento per lo smaltimento». È difficile immaginare che cosa potrà essere domani un paesino anti-petrolio come questo, 256 abitazioni di cui 195 (cioè il 76,1 per cento), di proprietà pubblica. Ma quando cominceranno a tappezzare i tetti di pannelli fotovoltaici, Craco rispunterà di nuovo, probabilmente, nelle classifiche di Legambiente.
Corriere del Mezzogiorno-Corriere della Sera, 8 novembre 2014