Compie oggi 116 anni la Jeunesse di Esch-sur-Alzette, la squadra degli operai e degli emigrati italiani in Lussemburgo cui è dedicato il mio libro Il pallone e la miniera. Pubblico di seguito il capitolo Gli inventori del pallone, sperando di fare cosa gradita ai tifosi della Jeunesse e agli amanti di un calcio romantico che non c’è più.

di TONIO ATTINO
I tifosi della Jeunesse – la squadra del popolo e degli operai – dovrebbero ringraziare almeno una volta nella vita gli avversari della Fola, detestata formazione dei ricchi, dei borghesi, dei signori in doppiopetto; o meglio ringraziare chi, con le migliori intenzioni, la fondò nel lontano 1906. Perché senza Jean Roeder non ci sarebbe stata la storia fiera della Jeunesse; meglio ancora, non ci sarebbe stata se Jean-Pierre Weber, un suo allievo, non ne avesse seguito l’esempio introducendo tra le due formazioni un naturale elemento di sfida, cioè l’antagonismo campanilistico, cioè il derby, la stracittadina destinata a non finire mai.
Il professor Jean Roeder era docente di inglese nell’istituto industriale e commerciale di Esch-sur-Alzette e qui fece la sua rivoluzione. Nato il 18 giugno del 1873, ebbe l’idea di portare il calcio a scuola perché l’aveva scoperto e se n’era innamorato durante gli undici anni trascorsi per gli studi nel Regno Unito. Quando decise di importarlo in Lussemburgo tra i giovani della sua terra affinché fosse strumento educativo e di crescita sociale, il primo passo fu naturalmente l’istituto in cui insegnava, il Lycée de l’Industrie et du Commerce.
Il calcio aveva cominciato a diffondersi in Europa grazie all’espansione economica britannica, agli insegnanti di inglese, agli studenti. Seguendo più o meno gli stessi canali e le medesime dinamiche – nei collegi inglesi di Bruges, Anversa e Bruxelles – il football era arrivato in Belgio poco dopo il 1860. Una decina di anni dopo cominciò a mettere radici in Svizzera, senza mai affacciarsi però, fino agli inizi del Novecento, nel Sud del Lussemburgo ormai in piena evoluzione economica e industriale. Finché non rimediò il professor Roeder nel 1902, aprendogli le porte dell’istituto in cui insegnava e inventando quattro anni dopo la società sportiva Fola, prima squadra calcistica del Granducato. Era il 9 dicembre 1906, l’anno in cui Esch otterrà lo status di città avendo già maturato sul campo il titolo di capitale del bacino minerario.
Il 1906 non fu un anno qualsiasi. Spalancò un secolo di antagonismi, contrasti, paure e gioia in una terra dimenticata in cui non poteva avvenire nulla e forse accadde tutto. Il calcio era uno sport d’élite e anche il Lussemburgo si allineò arruolando adepti del football tra giornalisti, professionisti e nel ceto benestante, com’era stato storicamente nell’Inghilterra dei notabili e della middle class, almeno fino a quando non si consolidò il profilo popolare della Jeunesse, fondata nel 1907 da Jean-Pierre Weber.
Allievo del professor Roeder e impiegato dell’acciaieria di Esch, dove il futuro si combinava con l’acciaio e il progresso con il numero crescente di operai impegnati nelle industrie e nelle miniere, Weber studiò il progetto con Henri Rizzi, un elettricista suo amico. Il nucleo fondatore della Jeunesse si estese a Jean Klein, Jean Kratz, Pierre Mart, Jean Michels, August Rizzi – fratello di Henri e futuro calciatore della nazionale – e a Theodore Heuwerth, gli otto pionieri ai quali va attribuito il merito di avere costituito il club.
Inizialmente prerogativa dei ricchi, il football cominciò piano piano a infiltrarsi nel ceto operaio, nella working class, e a riceverne l’adesione. Offriva ai primi calciatori la possibilità di condividere una passione con la quale vagare su qualunque slargo o prato avesse una parvenza di terreno di gioco. Gli atleti della Jeunesse se la cavavano con un calcio estemporaneo e itinerante. Riuscivano a giocarlo se i proprietari dei terreni chiudevano un occhio – o entrambi – per consentire loro di allenarsi e di gettare le basi per diventare una squadra vera; altrimenti dovevano raccogliere gli strumenti, la palla, i pali delle porte e cercare un’occasione migliore, un altro slargo, un altro prato.
Già nei primi anni della sua storia la Jeunesse ebbe fra i suoi calciatori, per una buona metà, i dipendenti dell’Arbed, e tra i sostenitori gli abitanti dei quartieri Hoehl, Frontiera e Brill, in cui la presenza italiana era grande e sarebbe stata via via sempre più numerosa. Negli anni in cui l’Inghilterra contava diecimila club e trecentomila prati- canti, la passione calcistica cominciò a estendersi nel Lussemburgo, con il primo campionato giocato nel 1909.
Il calcio a Esch si saldò fisicamente con i quartieri delle fabbriche, sovraffollati di italiani, tedeschi e lussemburghesi, densi di una multiculturalità problematica e spesso conflittuale, ma viva e feconda, destinata con il tempo e le sofferenze dell’immigrazione, dell’integrazione e di due funeste guerre mondiali a diluirsi in un solo popolo. Le vite vissute più nei caffè, allo stadio e nelle strade che in case un po’ troppo piccole e sovraffollate, finirono per irrobustire rapporti inizialmente difficili. Le storie, le vicende umane e le passioni, benché sembrassero lontane, diverse, inconciliabili, si riconobbero in radici comuni fondendosi nelle vicende di un paese piccolo e riassunte naturalmente nella vita dei nuovi cittadini, i figli dell’integrazione; come Guy Allamano.
Ex operaio dell’Arbed, ex calciatore della Jeunesse, nonno piemontese arrivato a Esch a fine Ottocento, moglie e figli lussemburghesi, Guy non conosce una sola parola di italiano, a parte «ciao». La sua vita era ed è qui, oltre i binari della Hoehl, dove c’erano le fabbriche e le ciminiere, dove c’era e c’è la Jeunesse e dove lui fu uno degli eroi dei bianconeri del Lussemburgo. A fine carriera, Guy allenò i ragazzini, li coccolava come figli. E un giorno negli spogliatoi li guardò negli occhi e disse: «Potete perderle tutte, ma questa no».
Era il giorno del derby con la Fola.