I numeri sono tutto? Quasi tutto. Osservo spesso e con una certa curiosità i dati del mio blog per scoprire quante persone leggano o visualizzino i miei articoli. Sono dati irrilevanti rispetto ai numeri straordinari prodotti dagli influencer e dagli youtuber, tutti sovrabbondanti di zeri. Tralasciando Chiara Ferragni, la celebrata fuoriclasse della categoria degli influencer, potrei citare un paio di casi di qualche tempo fa. Sono interessanti, quantomeno istruttivi.
Marco Morrone, il ragazzino calabrese che chiudeva ogni sua performance con un “saluta Andonio”, nel 2015 pubblicò un video su YouTube che raccolse otto milioni di visualizzazioni. Si conquistò così l’ingaggio per centinaia di serate e una visibilità equivalente a quella – secondo esempio – di Elisa Esposito, la diciannovenne ideatrice, nel 2022, della parlata in corsivo, zeppa di vocali a strascico, capace di raggranellare un milione e mezzo di follower su TikTok e oltre mezzo milione su Instagram. Certo molto meno dei quasi trenta milioni che nonostante le grane giudiziarie (è accusata di truffa aggravata, cioè di avere legato la vendita di alcuni prodotti ad ambigue iniziative benefiche) Chiara Ferragni continua ad avere su Instagram, ammesso che siano tutti follower reali (e questa è una storia nella storia).
Sulla mia pagina Instagram ho appena 110 follower e non so che cosa sperino di scoprire seguendomi. Diversamente da migliaia di utenti social abituati a “postare” le foto del gatto, della torta di mele o dei tubettini con le cozze, finora ho pubblicato solo otto foto, le uniche che mi parevano rilevanti: c’è la foto di un gallo, quella di un altoforno spento, la foto dei muri sgarrupati di Monacilioni, il vecchio e bellissimo paese molisano del mio amico Gigi Mezzacappa. E’ pochino, lo so. Cercherò di migliorare.
Mi domando quante visualizzazioni avrebbero raggiunto oggi i miei vecchi amici e colleghi Pino Galeandro e Giacomo Battino se fosse finito su TikTok un loro vecchio video anni Ottanta. Nacque per caso. Pino e Giacomo, cresciuti nella carta stampata, si ritrovarono a lavorare in una tv e dovettero fare i conti con un nuovo linguaggio. Così un giorno, quando Giacomo chiese a Pino, suo caporedattore, di potere registrare un corsivo, Pino accolse con gioia l’invito pregustando lo scherzo: chiese segretamente al cameraman di inclinare la telecamera affinché il corsivo, come nel linguaggio scritto, apparisse inclinato su un lato. Rivedendo la registrazione, Giacomo si meravigliò della singolare ripresa e Pino imperturbabile gli spiegò: “Il corsivo è inclinato no?”. Così Pino Galeandro – il mio primo capo in un giornale – inventò inconsapevolmente, una quarantina di anni prima di Elisa Esposito, il corsivo televisivo. Era un precursore, ma nell’era pre-Internet non se ne accorse nessuno. Quel reperto, naturalmente mai trasmesso e poi purtroppo andato perduto, all’epoca si poteva catalogare tranquillamente alla voce “minchiate”. Oggi, sicuro, farebbe qualche milione di visualizzazioni facendo tornare simpatici, almeno per un istante, i giornalisti ora così disprezzati, che un giornalista di qualche anno fa, Mark Twain, definiva come coloro che distinguono il vero dal falso e pubblicano il falso. Ma ai suoi tempi non esisteva il web e, alla faccia dei follower, neanche gli influencer.