Quando Raffaele Carrieri fu accolto con uno schiaffone e una domanda sempre attuale: “Che cazzo ci fai a Taranto?”

La città del centro siderurgico ex Ilva. La libreria storica che chiude nell’indifferenza. Il sud “irredimibile” in un episodio vissuto dal grande critico d’arte

A volte una storiella può contribuire a spiegare una città, anche se è una città complessa: è il caso della città dell’Ilva, esemplare indistruttibile di centro abitato subordinato, da più di sessant’anni, al destino di una fabbrica. Questa storiella riguarda Raffaele Carrieri, grande critico d’arte, tarantino, e l’indole dei suoi concittadini. Ce la racconta un mio amico e collega.

di CLAUDIO FRASCELLA

Provate a immaginare un ragazzino di appena tredici anni, finita la Prima guerra mondiale. Con un fazzoletto prepara un fagotto, lo appende a un bastoncino per alleggerirne il peso poggiandolo su una spalla. Ma il peso è irrilevante. Del resto in casa non circola tutto questo ben di dio. Sono anni in cui, se un figlio parte, è una bocca in meno da sfamare.

Raffaele Carrieri, tarantino, nato nel 1905, insomma, “ha scapulàto”, è ormai diventato grande. Anche se ha tredici anni può fare da solo. Ha messo un paio di ali e vola via. Tornerà raramente nella sua città, se non per accorgersi che mentre “tutto scorre”, Taranto, nei suoi usi e costumi, compresa una certa indifferenza ed una immarcescibile esuberanza, non è cambiata. E’ sempre lei, ha sempre lo stesso carattere. Con gli anni ci sarà qualche strada in più, un certo benessere, specie quando arriva l’Italsider, il “sidellurgico”, parlando con decenza, con i suoi camini che sbuffano.

In realtà ci sono due Taranto: una vecchia, che stride con quella nuova. Edifici a tre piani, stretti fra palazzi nuovi, alti otto, dieci piani. La crescita non è stata costante, ma irruente. La città, andata a letto con lo scampanellìo di una bicicletta, s’è svegliata con un colpo di clacson.

Agli inizi della sua lunga storia, Raffaele è un ragazzetto che non immagina ancora il suo futuro. Non ha tempo per sognarlo. Fa qualsiasi cosa gli capiti. C’è un battello per l’Albania, lui è a bordo come clandestino. Impara l’arte: pastorello, marinaio, doganiere, riscuote dazi. Ne scriverà sui suoi futuri libri. Non sa ancora di essere un letterato di prospettiva, nemmeno che sia sveglio al punto da diventare uno dei critici italiani di punta. Affascinato da Parigi, trova ispirazione per i suoi primi scritti, idee per un libro, poesie. Con la cultura, avrebbe detto un ministro dei tempi nostri, non si mangia. Raffaele riempie lo stomaco facendo il cameriere, nonostante la mano sinistra offesa. Ciondola dopo un conflitto a fuoco durante l’impresa di Fiume: perché anche se c’è da combattere, difendere un ideale, come arringa D’Annunzio, Raffaele combatte. Nella Ville Lumiere fa anche il modello, posa per Pablo Picasso, i due diventano amici. Raffaele però non resiste più di cinque anni. Milano è più vivibile. Gli cambia la vita. La cultura coltivata leggendo ed esercitandosi a scrivere, gli procura pane e companatico. Finalmente la cultura gli dà da mangiare.

E’ critico d’arte e teatrale, scrive per pubblicazioni e giornali di prestigio: L’Illustrazione Italiana, Epoca, Milano Sera, diventa firma di punta del Corriere della Sera. Il suo successo non passa inosservato. Leggono la sua firma in “prima” sul “Corsera”. «Raffaele… Raffaele… Raffaele, ma è il figlio che Aldo e Maria davano per disperso?». Proprio lui.

«Carrieri – scrive la “Treccani” – conobbe e frequentò un gran numero di letterati e artisti, dai meridionali trasferiti al Nord come Marotta, Cantatore, Zavattini, Gatto, Solmi, Quasimodo, Persico, Marinetti, Savinio (che nel 1933 eseguì un suo ritratto), Campigli, e tanti altri di cui divenne amico e spesso collaboratore».

Raffaele pubblica romanzi: “La scoperta di Eva” (1930), “Turno di notte” (1931), “Fame a Montparnasse” (1932), “Quand’ero doganiere” (1934) e “Un milionario si ribella” (1939); raccolte di poesie: “Circo” (1943), “Lamento del gabelliere” (1945), “Souvenir caporal” (1946), “Manuale per gli amorosi” (1948), “La civetta” (1949) e “Il trovatore” (1953), vincitore del premio Viareggio; cura una serie di monografie dedicate a Piero Marussig (1942); Giorgio de Chirico (1942); Modigliani (1947); Marino Marini (1948); Campigli (1965) e Gentilini (1965).

E Taranto? Completamente dimenticata? Non del tutto. Taranto è sempre città esuberante. Con un abbraccio ti fa mancare il respiro. Con un pizzicotto t’incendia una guancia. Specialità della casa: lo schiaffo. Dicono sia un gesto d’affetto. Più violento è, più ti vogliono bene. Variazione sul tema, lo schiaffo “a bell’e bbuene!”, cioè improvviso, a sorpresa.

Un episodio lo raccontava spesso il cavalier Antonio Mandese, fondatore della Casa del libro di via D’Aquino 142, la libreria storica, attività che ora abbassa la saracinesca fra l’indifferenza generale, come non fosse mai esistita. L’ultima volta che Raffaele Carrieri mette piede a Taranto, anni Settanta, quindi gli anni di una città ormai industrializzata e ricca, Raffaele passeggia, si guarda intorno, probabilmente pensa al passato, mastica riflessioni del tipo «qui, una volta, era tutta campagna…». Fa due passi in centro, una mattina si ferma ad osservare una delle due vetrine della più antica libreria cittadina. Guarda i libri disposti con cura. Qualcuno diritto, qualche altro obliquo, un paio di titoli sdraiati. I suoi occhi leggono i titoli in una sorta di zig-zag, quando d’improvviso, “a bell’e bbuene!”, gli arriva uno schiaffone, sulla nuca, sul “cuzzetto”.

Oggetto di ingiustificata violenza, Carrieri finisce con la testa contro la vetrina che per puro miracolo non va a pezzi. «Rafae’! Ceccazze ste’ face a Taranto?». Eccola la domanda chiave: che cosa ci fai a Taranto? Un ometto manesco non ha saputo resistere a manifestare il suo slancio di passione nei confronti dello scrittore appena riconosciuto. Una stretta di mano? No, quella è roba riservata a conoscenti, non agli amici: meglio uno schiaffone. Più forte è, maggiori i sensi di stima. «Rafae’, ceccazze ste’ face a Taranto?».

Il tempo di riprendersi dallo spavento e dalla sorpresa: «Me lo chiedo anch’io!» risponde Carrieri a quel tipo che in realtà neanche conosce. Non c’è bisogno che qualcuno gli rivolga una seconda volta la domanda. A Carrieri, quell’interrogativo con allegato ceffone basta e avanza. Quando si ricompone con signorilità, fissa “don Antonio”, stretto nel suo paltò, occhiali spessi, espressione sbigottita. «Raffae’» dice amaro Mandese scuotendo la testa: «Taranto e i tarantini non sono cambiati…».

E’ passato mezzo secolo da quel giorno, quarant’anni da quando il grande poeta, scrittore e critico d’arte se n’è andato.

Raffaele Carrieri è morto a Camaiore (Lucca) il 14 settembre 1984.


L’addio alla libreria Mandese dopo 88 anni

Lascia un commento