Dazi e liberismo, il gioco truccato

di TONIO ATTINO

Agli inizi degli anni Novanta, vigilia del mercato unico europeo, ci convinsero che la migliore economia possibile dovesse contemplare la libera circolazione delle merci e delle persone, senza dazi né barriere doganali, il che avrebbe offerto più opportunità, una maggiore competitività nonché prezzi più vantaggiosi per il consumatore. Era chiara l’impressione che la globalizzazione fosse indispensabile e piacesse abbastanza il modello statunitense, cioè il modello liberista secondo cui domanda e offerta finiscono per andare miracolosamente in equilibrio, senza che lo Stato vi metta il naso, anzi evitando che lo faccia.

Una trentina di anni dopo, un presidente degli Stati Uniti un po’ sopra le righe, Donald Trump, miliardario specialista nella costruzione di barriere, impone dazi sulle esportazioni del 35 per cento al Canada concordando con l’Unione europea una quota del 15 nonché l’obbligo di investire in energia 750 miliardi di dollari e l’impegno a un supplemento di investimenti pari a 600 miliardi.

Trump si fuma anche l’Europa

Gli Usa, che pure le barriere protezionistiche le avevano abbandonate formalmente dopo la crisi del 1929 e il New Deal di Roosevelt, rimanendo tuttavia legati alle misure anti dumping per proteggere alcuni settori dalla concorrenza estera (ad esempio la siderurgia), si sono ributtati nella negazione del liberismo, la bandiera sventolata secondo le convenienze.

Così ci ritroviamo a fare i conti con una globalizzazione che consente per esempio ai grandi industriali di produrre in qualunque parte sottosviluppata o deregolamentata del mondo a costi infinitamente più bassi tenendo i prezzi, nei mercati di riferimento – drogati dalla moda e dal consumismo – alti quanto prima, nel nome di un liberismo truccato. Il risultato di una fascia privilegiata di ricchi sempre più ricchi e di una fascia di poveri sempre più poveri ha prodotto la singolare realtà di un Paese moderno, modello di democrazia come gli Stati Uniti, che ha semplicemente deciso di imporre a tutti gli altri le sue regole, dando (agli altri) un’unica alternativa: accettarle. È davvero questo il migliore dei mondi al quale in Europa aspiravamo trent’anni fa?

Lascia un commento