di TONIO ATTINO
L’attentato a Sigfrido Ranucci, il giornalista di Report (Rai) al quale due giorni fa hanno fatto saltare in aria con un chilo di esplosivo l’auto sua e quella della figlia parcheggiate davanti a casa, a Pomezia (Roma), ha sollevato una ipocrita ondata di indignazione. Una legione di politici si è affrettata a schierarsi con la libertà di informazione, dimenticando che, se Ranucci e i suoi colleghi di Report hanno collezionato più o meno duecento tra querele e richieste di risarcimento del danno, qualcuno deve averle presentate. Chi? I politici, appunto. Alle loro prevedibili dichiarazioni si sono associati dei leccapiedi travestiti da giornalisti, i quali, al servizio dei potenti e pronti a tutto, ne hanno approfittato per darsi una verniciata di presentabilità facendosi un selfie nella trincea dell’informazione combattiva e incorruttibile. C’è da augurarsi che lettori e telespettatori – purtroppo i pochi che ancora leggono i giornali, stampati o online, e seguitano a guardare la tv – non siano completamente narcotizzati dagli slogan e dai social e siano ancora capaci di distinguere il vero dal falso, un cane da guardia da un cane da salotto, un giornalista da un cameriere, un Ranucci da un lestofante che gli offre solidarietà per sembrare come lui.
