La politica che dice di voler cambiare non cambia mai. Ma non bisogna scandalizzarsi. Non è una questione di giovani e vecchi, di destra e sinistra. E’ così e basta. L’esempio di Taranto: la città attraversa una crisi gravissima, eppure è un trampolino per le ambizioni dei singoli
di TONIO ATTINO
Il 23 e 24 novembre la Puglia – la regione dei trulli, delle masserie, di quasi novecento chilometri di costa e del centro siderurgico più grande d’Europa – andrà a votare per eleggere il nuovo presidente, cioè il successore di Michele Emiliano. Lo spettacolo non è bello né brutto. È il solito. La corsa alla poltrona è quella di sempre, con punte di drammatico umorismo, come le dichiarazioni con cui il consigliere regionale uscente di Monopoli, Stefano Lacatena – non ricandidato e perciò assai addolorato – ha definito “disumana” l’esclusione decisa dal centrosinistra. “Probabilmente la mia casa è il centrodestra” ha aggiunto. Poiché Lacatena proviene da Forza Italia, l’avverbio probabilmente non è fuori luogo.
Ma ormai le candidature sono ufficiali. Si può già pensare se votare di qui, di là oppure alimentare il sempre più forte partito dell’astensione. Vediamo un po’. Emiliano è stato presidente della Puglia per dieci anni, dopo essere stato per dieci anni sindaco di Bari. Prima di lui aveva governato per dieci anni Nichi Vendola, il “narratore” della Primavera pugliese. I sondaggi danno in largo vantaggio il centrosinistra con Antonio Decaro, il quale è stato sindaco di Bari per dieci anni dopo i dieci anni di Emiliano. Attuale europarlamentare, nominato presidente della commissione Ambiente dopo l’elezione del 2024 ottenuta con un formidabile risultato (quasi 500mila voti), Decaro ha una buona prospettiva: governare la Puglia per i prossimi dieci anni. Emiliano avrebbe voluto, non essendo ricandidabile al terzo mandato come presidente, candidarsi come consigliere, magari per restare nell’assemblea pugliese per altri dieci anni. Decaro, suo discepolo, ne ha ostacolato la candidatura, imponendosi con i vertici del Pd. Non è riuscito però a impedire la candidatura di Vendola, che non è del Pd ma fa parte di Avs, cioè di Alleanza Verdi e Sinistra. Così dopo dieci anni da presidente, Vendola potrebbe avere l’ambizione di farsi dieci anni come consigliere. E siamo fermi ancora a tre nomi e al solo centrosinistra.
Era scontato che, per le annunciate possibilità di vittoria dello schieramento, fossero solleticate le umane ambizioni e la voglia di candidatura anche da parte di chi è già stato candidato altrove solo pochi mesi fa. Prendiamo Taranto, la più sventurata delle sei province pugliesi. Al voto nella tornata di maggio e giugno per rinnovare il consiglio comunale e eleggere il sindaco (ha vinto Piero Bitetti, centrosinistra), la città affronta una grave crisi economica e sociale, in testa il caso dell’ex Ilva, il centro siderurgico ormai con un piede (o forse due) nella fossa. La “grande occasione regionale” ha suggerito però nuove candidature.
Mattia Giorno, trentenne rampante, risultato il più votato tra i consiglieri comunali e per questo nominato vice sindaco di Taranto, è ora in lista con il Pd per la Regione. In lista con il Pd è anche Enzo Di Gregorio, consigliere regionale uscente, eletto consigliere comunale. Francesco Cosa, eletto consigliere comunale e poi designato come assessore alle Attività produttive, si candida con la lista Per la Puglia. Eletti appena cinque mesi fa, i tre possono considerarsi già con il corpo e l’anima da un’altra parte. Il fatto che vi siano candidati al quadrato, non significa che non vi sia un candidato al cubo. Annagrazia Angolano i Cinquestelle l’hanno candidata al Parlamento europeo nel giugno 2024, poi alla carica di sindaco a Taranto cinque mesi fa (è entrata in consiglio comunale, ma all’opposizione del Pd) e adesso si candida a entrare nel consiglio regionale (ma in maggioranza con il Pd). In un mondo normale sarebbe strano. Qui, no.
Un caso a parte è Vendola, barese, legato a Taranto anche da una storia giudiziaria. E’ stato condannato in primo grado per concussione a tre anni e sei mesi nel processo Ambiente Svenduto (il caso Ilva), ma i vertici di Avs, cioè il suo ex braccio destro Nicola Fratoianni ai tempi della presidenza regionale, nonché Angelo Bonelli, che a Taranto fu candidato sindaco nel 2012, hanno detto che è la persona giusta. Con nonchalance si è lasciata scivolare via la circostanza che Bonelli, con i Verdi, si è costituito parte civile contro di lui nel processo Ambiente Svenduto. Ora il risultato curioso è che Bonelli e Vendola sono avversari nelle aule di giustizia, ma alleati in politica. Ovviamente Vendola, accompagnato dal suo consueto eloquio poetico, si è candidato come capolista nelle circoscrizioni di Lecce, Bari e Brindisi, non in quella di Taranto. È un politico sensibile.
Il centrodestra, dopo lunghe riflessioni, ha scelto come antagonista di Decaro l’imprenditore Luigi Lobuono, cioè colui che nel 2004 perse contro Emiliano nella contesa per la carica di sindaco di Bari. Lo attende un compito piuttosto difficile, però ha attratto comunque una legione di candidati, tra i quali – un riferimento ancora a Taranto – Giampaolo Vietri, eletto cinque mesi fa consigliere comunale con Fratelli d’Italia, Massimiliano Di Cuia, consigliere regionale uscente di Forza Italia e fresco eletto al consiglio comunale, nonché Massimiliano Stellato, consigliere regionale uscente e consigliere comunale appena eletto, un globe-trotter dei partiti: Popolari con Emiliano, Italia Viva e, prima ancora, Udc, Uder, Centro democratico. Attualmente, salvo svolte, è con Patto Popolare. Va ricordato che le cariche di consigliere regionale e comunale non sono incompatibili, per cui i candidati al quadrato potrebbero diventare consiglieri al quadrato (Comune e Regione), così come chi ha un incarico in giunta (per esempio Giorno e Cosa).
Si può essere comunque abbastanza sicuri che ogni candidato al quadrato o al cubo potrà riconoscersi – a destra, sinistra e centro – con le dichiarazioni pubbliche – alla faccia dei vecchi – rilasciate dal giovane Mattia Giorno: “Taranto ha bisogno di far sentire la propria voce. Noi non lasciamo la città: la portiamo in Regione, per servirla di più e meglio. Per dare al nostro territorio ciò che merita … questo territorio ha bisogno di una nuova classe politica, capace di mettere da parte i giochi di potere e le solite, vecchie, logiche”.
Parole sante e, soprattutto, nuove.










