
di TONIO ATTINO
«Tornare? Come vedete io torno spesso. Ora per esempio sono tornato».
Non si capisce quando Zeman sorrida, ma nel momento esatto in cui pronuncia questa frase, è sicuro: sta sorridendo. I tifosi foggiani lo vorrebbero di nuovo in panchina («mister, quando torna?»), ma Zdenek Zeman intanto è tornato a Foggia solo per stare sul set. Ha accettato il ruolo di attore per ricordare la più grande avventura della sua vita da allenatore con la squadra dei record, il Foggia che nel 1990-91 conquistò la serie A e per cinque anni diede lezioni di risultati e di gioco alle grandi con il 4-3-3.
«Zemanlandia» è documentario prodotto dalla Showlab di Torino e diretto dal regista Giuseppe Sansonna. Finanziato dalla Provincia di Foggia, verrà presentato a Milano tra il 19 e il 22 febbraio alla Bit, la borsa del turismo, e probabilmente diventerà un dvd. Il film mescola alle interviste le prodezze di Signori, Baiano e Rambaudi, gli sguardi immobili del mister e le sortite pittoresche del presidente Pasquale Casillo. Che un giorno entrò negli spogliatoi e infilò centomila lire nella scarpa del terzino Codispoti per convincerlo a usare i piedi con molta attenzione.
Le riprese, concluse ieri, hanno ricostruito in una saletta dello stadio Zaccheria le «riunioni» del sabato sera, quando Zeman preparava la partita giocando a carte con i fedelissimi in qualunque hotel si trovasse. Si è ritrovato così a giocare a ciapanò con il suo secondo Cangelosi, il direttore sportivo Pavone, il magazziniere Dario Annecchino, il massaggiatore Lino Rabaglietti e l’amico del cuore, il vecchio dirigente accompagnatore Franco Altamura. Racconta Pino Autunno, attuale team manager, che la partita a carte fosse un rito propiziatorio, «e portava bene che Zeman vincesse». Perciò, per sostenerlo, gli mettevano accanto Franco.
Quanti aneddoti vi siano, nel film-documentario, il regista non lo svela. Ma il primo aneddoto vivente è lui. Barese, 31 anni, da ragazzino Giuseppe Sansonna saliva in treno e andava a Foggia a vedere la squadra di Zeman, nonostante la storica rivalità Bari-Foggia. «È un mistero – ricorda Sansonna – come un allenatore nato a Praga e così taciturno potesse entrare in sintonia con un ambiente tanto passionale. Zeman per Foggia è stato più di quel che Maradona è stato per Napoli». Zeman era silenzioso al punto che Casillo, il presidente di San Giuseppe Vesuviano, lo chiamava «il muto». Poi cominciò a chiamarlo per nome: Sdengo. Il nome vero, Zdenek, non riuscì mai a dirlo. Lo ingaggiò a fine anni ottanta su suggerimento del ds Pavone. «Allena il Licata. E’ bravissimo» disse Pavone. «Lasciamolo stare, qui non vogliono» rispose Casillo. Pavone insisteva: «Presidente, diventerà un grande allenatore». E Casillo, «Va buo’, vallo a piglia’». Zeman arrivò a Foggia e cominciò la festa. Un anno di preparazione con la squadra portata in serie B dal tecnico Caramanno e poi – nonostante le minacce di Casillo che lo invitava a tenere pronta la valigia – la straordinaria scalata.
Zeman era quello di oggi. Sorrideva senza darlo a vedere. Parlava come stesse dettando un telegramma. Ricorda Massimo Marsico, pianista e direttore di Teleblù, emittente televisiva foggiana: «Scrissi con Lucio Di Gianni l’inno che il Foggia adottò. Un giorno Zeman mi incontra e fa: tu meglio che suoni pianoforte, meglio che non fai giornalista». Era un complimento? Zeman comunque sorrideva. In campo era diverso. E Rabaglietti si sorprese quando in panchina Zeman gli chiese di sollevare la lavagnetta per la sostituzione di Mandelli. «Perché mister?» chiese. E lui: «Gioca contro di noi, ha fatto un passaggio all’indietro». Nessuno giocatore ha mai parlato male di lui. Quella nostra era una grande famiglia». Zeman sarebbe diventato poi il tecnico anti-sistema. A Foggia no. È l’uomo che al mattino stava sul campo a rimettere a posto le zolle. Che rideva senza ridere, fumava come una ciminiera e vinceva senza muovere un muscolo. Il tempo passa ma qui Sdengo è sempre Sdengo.
La Stampa, 18 gennaio 2009
Ottimo. E abbondante.
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