Jeunesse, cinquant’anni fa la squadra dei minatori fermò il grande Liverpool di Keegan e Shankly

Fu una giornata storica il 19 settembre 1973. Tra i fumi di Esch-sur-Alzette, nel Lussemburgo meridionale popolato di emigrati italiani, ciminiere, altiforni e miniere, arrivò il Liverpool allenato da Bill Shankly. Calcio europeo, Coppa dei Campioni. La Jeunesse – squadra operaia che alternava gli allenamenti alla fabbrica – riuscì in un’impresa impensabile. Pareggiò 1 a 1. Ecco il racconto di quel giorno riportato nel primo capitolo del mio Il pallone e la miniera, libro dedicato all’emigrazione italiana e agli operai di Esch-sur-Alzette. In coda, l’articolo che oggi il quotidiano lussemburghese Tageblatt ha dedicato a quell’evento indimenticabile.

Il gol del pareggio di Gilbert Dussier

di TONIO ATTINO

Il 19 settembre 1973, mercoledì, la città di Esch-sur-Alzette accolse i Reds invadendo le strade. Le case si svuotarono e in trentamila circondarono lo Stade de la Frontière. Come fosse un giorno qualunque, i calciatori della Jeunesse partirono dalle acciaierie in cui lavoravano e arrivarono tra i tifosi attraversando a piedi il quartiere Hoehl. I dirigenti della società siderurgica Arbed avevano concesso loro l’uscita in anticipo, garantendo per tempo l’ingresso della squadra sponsorizzata dall’Arbed nello stadio dell’Arbed costruito sul terreno dell’Arbed con i soldi dell’Arbed.

Benché non potesse esserci confronto con il Liverpool, una delle squadre più forti d’Europa, Esch ribolliva di en- tusiasmo. L’ex nazionale austriaco Willi Macho allenava la Jeunesse tenendo insieme un manipolo di lavoratori naturalmente convinti che lo stadio fosse il prolungamento della fabbrica e la fabbrica il prolungamento dello stadio, tutti uniti dalla passione e dall’orgoglio con cui stavano dall’una o dall’altra parte. Per quanto la Jeunesse fosse uno squadrone, i primi della classe in un Lussemburgo ricco e operaio erano irrilevanti nella mappa calcistica europea. I dodici scudetti appuntati sulle maglie bianconere rappre- sentavano una superiorità irrilevante oltre i confini, figuriamoci nel Regno Unito, dove si gloriavano di avere inventato il football e dove Bill Shankly aveva raccolto il Liverpool dalla seconda divisione inglese trasformandola in un’armata pressoché invincibile.

Bill Shankly

Il 19 settembre 1973, mercoledì, scesero in campo da una parte i fenomenali rossi del Liverpool gonfi di classe e di talento con Ray Clemence, Larry Lloyd, Cris Lawler, Phil Thompson, Emlyn Hughes, Brian Hall, Tommy Smith, Steve Heighway, Kevin Keegan, Ian Callaghan e Phil Boersma, e dall’altra gli sconosciuti bianconeri della Jeunesse, spinti dall’euforica allegria dei tifosi e dal desiderio di vedersela faccia a faccia contro i terribili inglesi accompagnati dalla fama della First Division, l’attuale Premier League. Per quarantadue minuti René Hoffman, Léon Schmit, Jeannot Schaul, Mario Morocutti, Robert Da Grava, Norbert Reiland, Pitt Langer, Jean-Pierre Hoffman, Jean-Pierre Hinatow, Dominique Di Genova e André Zwally riuscirono a tenere testa ai Reds, finché un piccolo scozzese con la maglia rossa, il centrocampista Brian Hall, s’infilò nella difesa della Jeunesse profittando dell’incertezza di un paio di difensori bianconeri e mise le cose al loro posto, cioè dove le classifiche internazionali volevano che fossero. Così al quarantatreesimo minuto René Hoffman raccolse la palla dalla rete e il primo tempo si chiuse uno a zero.

In fondo non era male perdere uno a zero contro il Liverpool. René ricordava nitidamente il Real Madrid, 21 ottobre 1959, mercoledì anche allora, quando non smise un istante di saltare, parare, di uscire dai pali, respingere la palla, e raccoglierla dalla rete. Sette volte si era chinato dentro la porta dell’immenso Santiago Bernabeu. No, non era male perdere per uno a zero.

Kevin Keegan

Quando l’arbitro francese Jean Bancourt fischiò la ripresa del gioco sembrava dovesse arrivare il momento della disfatta, e invece il secondo tempo fu una sorpresa. La Jeunesse tenne degnamente il ritmo dei Reds sorretta da tifosi scatenati. Al quarantanovesimo minuto Willi Macho mandò in campo Léon Mond al posto di Léon Schmit e al sessantacinquesimo chiamò in panchina André Zwally sostituendolo con Gilbert Dussier. Gli ci vollero ventitré minuti esatti, a Gilbert, per rimettere le cose nel posto in cui trentamila tifosi impazziti volevano che fossero.

Ottantottesimo minuto di gioco, due minuti dalla fine della partita. Mario Morocutti, un italiano con scarsa tecnica e una grinta da fabbro, raccolse la palla e la poggiò a Reiland, non azzardandosi a fare niente di più. Reiland lanciò lungo verso l’area avversaria mettendo il portiere Clemence e il difensore diciannovenne Phil Thompson nelle condizioni ideali per pasticciare tra loro, cosicché Dominique Di Genova fu rapido a mettere la zampa tra i due e a rubare la palla per servire un assist a Gilbert Dussier appostato alla sinistra dell’area di rigore, davanti alla porta spalancata. Un colpo di piatto sinistro fece rotolare la palla alle spalle del portiere. Ray Clemence la raccolse dalla rete e non riusciva a crederci. Nessuno riusciva a crederci.

Un boato accompagnò il gol e l’esplosione di gioia fu avvertita fino all’altro capo di una cittadina le cui ore erano normalmente scandite dal clangore degli altiforni e dei nastri trasportatori, dalla produzione e dalle sirene dei turni di lavoro. Un’onda di entusiasmo si sollevò dallo Stade de la Frontière diffondendosi all’esterno, dove chi non era riuscito a entrare restava in strada ad ascoltare la singolare radiocronaca scandita da urla e cori provenienti da quel quarto di fortunati cui era concesso di vedere tutto. All’ottantottesimo minuto fu uno a uno. L’eroico ventiquattrenne Gilbert Dussier, ingaggiato quello stesso anno dai Red Boys della vicina Differdange, era riuscito dove tutti non pensavano di potere arrivare. Il pareggio mise la Jeunesse, la squadra campione del piccolo Lussemburgo, all’altezza del Liverpool, la squadra campione d’Inghilterra.

Fu così, per una sera. Un gol per la Jeunesse. Uno per il Liverpool. Nessuno avrebbe potuto prevederlo. Finì pari nello Stade de la Frontière di Esch-sur-Alzette, fisicamente incollato alle case del quartiere e a una manciata di metri dal confine francese, la partita di andata del primo turno della Coppa dei Campioni, l’attuale Champions League. Quando l’arbitro Bancourt fischiò la fine dell’incontro fu tutto più chiaro: la squadra operaia era riuscita a fermare i formidabili Reds di Bill Shankly. La festa fu lunghissima, infinita.

Il portiere Hoffman

Era ormai notte quando il portiere René Hoffman vide arrivare verso gli spogliatoi della sua squadra mister Shankly. Il leggendario allenatore del Liverpool aveva un’espressione contrariata e si portava dietro Emlyn Hughes, il suo capitano. L’aveva voluto nel 1967, acquistandolo appena diciannovenne dal Blackpool per la cifra record di sessantacinquemila sterline perché era un motorino infaticabile ma soprattutto un leader intorno al quale avrebbero danzato i suoi rossi. Perciò poteva essere solo lui, Hughes, il legittimo destinatario della ramanzina la sera del pareggio nella città piccola e sconosciuta di Esch-sur-Alzette. Un maestro severo avrebbe punito un alunno impertinente tenendolo per l’orecchio, sollevandolo di forza sulle punte dei piedi. Invece Shankly allungò il braccio, puntò il dito e si voltò verso Hughes: «Guarda quelli lì, guardali bene. Domani loro andranno a lavorare in fabbrica».

Tra «quelli lì» seduti sulle panche degli spogliatoi della Jeunesse c’era Mario Morocutti, friulano della Carnia, operaio dell’Arbed addetto alle demolizioni, un metro e ottantadue, il difensore dal cui piede delicato come un mattone era partita l’azione del pareggio. Vicino a lui, René Hoffman, incuriosito da quella scena inattesa, pensò a Madrid, stadio Santiago Bernabeu, 21 ottobre 1959, mercoledì. Osservò lo sguardo e il dito puntato dal coach Bill Shankly, infuriato perché il suo Liverpool di campioni non ce l’aveva fatta a battere una squadra di dilettanti, lasciandole la scena su un campo di calcio incastrato tra le ciminiere, assediato da tifosi orgogliosi, innamorati. Settemila privilegiati in uno stadio che poteva contenerne quattromila avevano assistito al trionfo dei metalmeccanici e dei minatori, capaci di pareggiare uno a uno contro i campioni d’Inghilterra, la squadra di Ray Clemence e di Kevin Keegan. E così quando il coach puntò il dito, René si sentì onorato di essere lì. Metalmeccanico dell’Arbed di Esch-sur- Alzette, a trentuno anni era riuscito, con i suoi compagni indemoniati e il sinistro di Gilbert, a fermare anche i Reds. E insieme avevano fatto esplodere di gioia la Hoehl, il quartiere operaio.


Il ricordo del Tageblatt

Jeunesse – Liverpool/ Heute vor 50 Jahren bebte die Escher Grenz im Landesmeister-Pokal

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