Il rivoluzionario del curriculum

di TONIO ATTINO

Luigi Di Maio, uno dei politici più interessanti e di talento degli ultimi decenni, ha rassicurato gli italiani che non si ricandiderà. “Alle urne non abbiamo preso nemmeno l’1%, meglio evitare un accanimento terapeutico” ha detto il 12 novembre scorso in tv (In mezz’ora, RaiTre) riferendosi a Impegno Civico, il partito fondato nel 2022 dopo l’uscita dai Cinquestelle e liquidato a tempo di record dagli elettori. È un peccato rinunciare a un politico di questo livello.

Tra i meriti che certamente la storia gli assegnerà un giorno, Di Maio ne ha uno almeno che possiamo riconoscergli già adesso. Ha rivoluzionato la teoria del curriculum. Secondo le vecchie, consolidate regole, un giovane è tenuto a imbottire il proprio curriculum di lauree, master, specializzazioni, conoscenze linguistiche e stage per potere riuscire a ottenere (forse) un lavoro precario, accodandosi agli altri tre milioni che lo hanno conquistato (dati Istat). Secondo le regole sperimentate e messe in pratica in tre fasi successive da Di Maio, invece, è esattamente il contrario. È necessario fare preliminarmente carriera (fase uno) per poi riempire il curriculum (fase due) e così proseguire in una ulteriore, splendida carriera (fase tre). Sembra un’idea strampalata, eppure funziona. Benché la storia sia nota, un ripasso è utile. Vediamo un po’ come è andata nel caso specifico.

La scalata al successo di Di Maio grazie ai Cinquestelle (nell’epoca della rivoluzione ipotizzata dal duo Grillo-Casaleggio, dei Vaffaday, del parlamento da aprire come una scatola di sardine e altre cosette del genere) è davvero formidabile. In sette anni, dal 2013 al 2019, Di Maio viene eletto deputato e diventa poi, nell’ordine, vicepresidente della Camera dei deputati, vicepresidente del Consiglio dei ministri, ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali: qui inventa la figura dei navigator, che dovevano accompagnare i giovani verso un lavoro e invece hanno accompagnato loro stessi verso la disoccupazione. Poi la nomina a ministro dello Sviluppo economico e a ministro degli Affari Esteri. Di Maio brucia le tappe dai 26 ai 33 anni. E’ un ragazzo prodigio partito da zero. Da sotto zero.

Il suo curriculum pubblicato sul sito internet del ministero del Lavoro è un capolavoro del nulla espresso in terza persona. Testuale. “Il suo impegno civile e politico nasce negli anni del Liceo classico Vittorio Imbriani di Pomigliano d’Arco (Napoli). Nello stesso periodo in cui ha frequentato l’Università Federico II di Napoli, ha avviato un progetto imprenditoriale di e-commerce, web marketing e social media marketing, ad oggi portato avanti dai suoi ex soci”. E ancora: “Dopo il liceo, frequenta per alcuni mesi la facoltà di Ingegneria informatica, passando poi a Giurisprudenza. Nel 2007-2008 riveste la carica di Consigliere di Facoltà e Presidente del Consiglio degli Studenti e fonda, con alcuni studenti del primo anno, l’Associazione studentesca studentigiurisprudenza.it, un’associazione indipendente attiva ancora oggi che si occupa di tutelare i diritti degli studenti. Nel 2007 si iscrive come giornalista pubblicista presso l’Ordine nazionale dei giornalisti”.

Ecco, questo è tutto. In pratica, un curriculum vuoto, bianco, inservibile. Nessun giovane abituato alle vecchie regole proporrebbe qualcosa del genere. Eppure Di Maio ce la fa. Innovativo. Creativo. Geniale.

A 35 anni scrive addirittura un’autobiografia, “Un amore chiamato politica”, pubblicata nel 2021 da Piemme. Nelson Mandela ha pubblicato la sua a 77 anni, dopo 27 anni di carcere, la lotta all’apartheid, il premio Nobel per la Pace ottenuto nel 1993, la presidenza del Sudafrica. Albert Einstein ha scritto la sua “Autobiografia scientifica” a 67 anni, dopo avere formulato la teoria della relatività e ottenuto il Nobel sulla Fisica nel 1922. Erano altri tempi, evidentemente. Ai nostri, è tutto diverso. Ecco, torniamo ai nostri tempi.

Nel 2022 Di Maio lascia i Cinquestelle in cui è cresciuto per restare al governo con il presidente del consiglio Mario Draghi, un super tecnico. Così fonda un suo partito, Impegno Civico, con il quale, alle elezioni politiche, riesce a non farsi eleggere (ottiene lo 0,6 per cento dei voti), ma fa eleggere Bruno Tabacchi, vecchio democristiano, ininterrottamente in parlamento dal 2001 (ma anche prima, dal 1992 al 1994). Il Di Maio del 2012 avrebbe dovuto mandarlo a quel paese in uno dei Vaffaday del movimento Cinquestelle. Il Di Maio del 2022 lo manda alla Camera dei deputati.

Sembra la fine, ma è un nuovo inizio, cioè la fase tre del curriculum. Draghi propone la sua candidatura all’Alto rappresentante dell’Ue per la Politica estera, Josep Borrell. Il primo giugno 2023 Luigi Di Maio viene nominato inviato dell’Unione europea nel Golfo Persico. Ha ormai un curriculum bellissimo. Parlamentare. Ministro. Vice premier. L’uomo giusto per un incarico internazionale. Borrell gli fa i complimenti: «I suoi ampi contatti con i Paesi del Golfo gli permetteranno di impegnarsi con gli attori rilevanti al livello appropriato. Dobbiamo mantenere lo slancio del nostro impegno rafforzato con il Golfo». Un capolavoro. Opera di un genio. E di un sistema che questo tipo di geni premia, colloca, usa.

Luigi Di Maio, nato ad Avellino il 6 luglio 1986, sorriso smagliante, curriculum ormai gonfio come un dirigibile, ha impegni fino al 2025 nel Golfo Persico. Poi tornerà in pista. Dove? Come? Ce lo farà sapere.

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