Quasi quasi mi prendo una lunga pausa e recupero il bioritmo. Me l’ha suggerito il compagno Nichi

di TONIO ATTINO

Ci sono parole di ineguagliabile efficacia grazie alle quali si può comprendere quanto politica e realtà – cioè politici e cittadini comuni – siano spesso mondi paralleli destinati a non incontrarsi. Le ultime, efficaci parole – davvero una bella testimonianza da incorniciare – le ha pronunciate Nichi Vendola, presidente della Regione Puglia dal 2005 al 2015, parlamentare per tredici anni, nonché attuale candidato al consiglio regionale pugliese con Avs, cioè Allenza Verdi e Sinistra. In una lunga intervista a Quotidiano del 6 novembre scorso, Vendola ha parlato del suo ritiro dalla politica avvenuto dieci anni fa e del suo attuale rientro. Ha detto testualmente: “Ho vissuto con felicità l’uscita dalle istituzioni. Il passo indietro mi ha consentito di ritrovare il mio bioritmo e di distaccarmi dal ruolo nel quale la persona era completamente sacrificata al personaggio, recuperando fragilità, umanità, allegria. Tutti dovrebbero darsi delle lunghe pause, la permanenza totalitaria rischia di provocarti un cortocircuito. E poi sono tornato alle passioni: poesia, teatro, ho fatto politica in questa forma lieve”.

Ha perfettamente ragione, Vendola: tutti dovrebbero darsi delle lunghe pause, ritrovare l’allegria e soprattutto il bioritmo dedicandosi al teatro, alla poesia, ma è chiaro che non tutti, anzi solo pochi, possono permettersi di dimenticare le bollette, la spesa, spesso la cassa integrazione o la mancanza del lavoro, passando tutto il santo giorno alla ricerca del bioritmo. È stupefacente come un esponente della sinistra italiana seguiti a vivere sulle nuvole, moraleggiando magari sulle indagini giudiziarie a carico di antagonisti politici e sorvolando sulla sua condanna il primo grado per concussione nel processo Ambiente svenduto (ex Ilva di Taranto). È più semplice, anziché stare realmente dalla parte di chi vive difficoltà e disagi, risiedere nella terra abitata da una élite ultrachic che garantisce se stessa.

Le campagne elettorali sono poi il momento in cui i politici – a sinistra, destra e centro, ammesso che queste distinzioni abbiano ancora un senso – danno il peggio di loro stessi, coprendo di retorica idee rinsecchite, quando ci sono, affinché sembrino fresche, originali, risolutive. Il risultato è da un lato la sempre più diffusa e comprensibile idiosincrasia verso i parolai, i tagliatori di nastro e i professionisti del selfie e delle strette di mano con sorriso incorporato e dall’altro lato la voglia sempre più grande di non andare a votare, rassegnati che tanto andarci oppure non andarci è uguale, non cambierà niente. Questa è la sconfitta più dolorosa e anche la colpa più grande di chi non riesce ad appassionare né a convincere – con l’esempio prima che con le parole – che la politica e il voto possono cambiare la vita di tanti e non solo la vita di qualcuno.

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