di TONIO ATTINO
Ho cominciato con mio padre. Avevo 12 anni. Allora neppure il metro si usava. Il cliente ti diceva: voglio un trullo 15 palmi per 15. Il palmo della mano equivaleva a 27 centimetri e mezzo. Si utilizzavano solo pietre, non un grammo di malta e neppure il filo a piombo. Il trullo si costruiva con l’esperienza. A occhio. Ma oggi è difficile andare avanti. Non ci sono giovani disponibili a fare questo lavoro e ce ne sono troppi che lo fanno senza conoscerlo. Forse è meglio lasciare».
Gli occhi di Martino Lodeserto guardano la campagna punteggiata di coni col cappello bianco, i trulli, cioè le «casedde». Così si chiamavano un tempo le case dei contadini. Quante ne avrà costruite, in mezzo secolo? «E chi lo sa – sorride lui -. E’ come chiedermi quante pietre servono per fare un trullo. Quando è finito, tante ne bastano…». Ha modi gentili e il sorriso di un ragazzino questo signore di 77 anni. Cammina con la schiena curva, perché le pietre pesano e lui migliaia ne avrà spaccate, squadrate e incastrate per modellare le costruzioni a cono della Valle d’Itria. Martino è un maestro trullaro. Ce ne saranno al massimo dieci in Puglia, ma nessuno come lui ha una storia lunga sei generazioni. «Caseddari» dal primo all’ultimo. Il papà Pasquale, il nonno Girolamo, il bisnonno Nicola Antonio, il trisavolo Girolamo. «Si chiamava Girolamo pure mio fratello, maestro trullaro come me. E fanno questo lavoro i suoi figli Pasquale, Martino e Antonio, così come i miei figli Filippo e Pasquale: hanno 44 e 46 anni. Era trullaro perfino il padre di mia moglie. Oggi il più giovane della famiglia è il figlio di mio nipote Martino. Ha 18 anni e ha cominciato a lavorare col papà. Resisterà? Non lo so». La terra dei trullari dove Martino Lodeserto vive da sempre nel trullo paterno datato 1913 è Locorotondo, 14mila abitanti. Con Martina Franca e Cisternino, è uno dei vertici del triangolo della Valle d’Itria. Poco più a nord c’è Alberobello, il più denso agglomerato di trulli dichiarato dall’Unesco patrimonio dell’Umanità. E intorno Ceglie Messapica, Castellana, Fasano, Ostuni, un’area che abbraccia le province di Bari, Taranto e Brindisi. Trulli dappertutto, ma il cuore è qui, in Valle d’Itria. La storia attraversa un secolo o quasi. «Papà mi faceva scegliere le chianche e cominciavo a lavorarle col martello da attozzatore». Martino taglia e modella le pietre estratte dalla terra, usa il «sei denti», il martello per le finitura delle chianche. «Avevo la mano piccola e per spaccare la pietra ci voleva un colpo secco». Quando scoppia la seconda guerra Martino lascia la scuola, «e a me piaceva molto». A 30 anni è un maestro, sa come innalzare una «casedda» incastrandone le chianche, una fila sull’altra dalla base quadrangolare fino al cono circolare e alla cima: il pinnacolo. Solo lì si usa la calce perché «altrimenti le pietre troppo piccole non reggerebbero». Ogni chianca con l’inclinazione giusta. «Se piove l’acqua non deve infilarsi tra una pietra e l’altra». Martino non si domanda neppure come siano nati, i trulli, e dove. Se siano stati «importati» dall’Argolide dove case di pietra c’erano 1500 anni prima di Cristo o se le inventò l’audace furbizia di Giangirolamo Acquaviva D’Aragona conte di Conversano che, nel 1600, volendo creare un feudo indipendente dalla corte di Napoli, impose ai sudditi la costruzione di abitazioni in pietra che potessero essere smontate in caso di ispezioni del re cui il conte non voleva riconoscere le tasse. Preferisce, il maestro Martino, ricordare le parole del padre: «Cominciò con un pastore che costruì un rifugio di pietre per ripararsi dalla pioggia. Questo mi diceva».
I trulli sono stati la sua vita, contromano. Negli anni Cinquanta arriva il cemento, poi i tetti a volta. «Cominciai a fare quello che mi chiedevano. I trulli diventarono casine. Bisognava aggiungerci delle stanze per renderli più confortevoli». I trulli sono le case dei poveri e così scomode, con le porte alte un metro e 50, non li vuole nessuno, si demoliscono. Negli anni Sessanta si scappa dalle campagne.
A Taranto apre il centro siderurgico Italsider. Ogni giorno da Locorotondo «partono due o tre bus carichi di ex contadini che diventano operai» ricordano Filippo e Pasquale, i figli di Martino.Ma loro cominceranno a stare ricurvi sulle pietre, a spaccare e tirare su le «casedde» finché il papà non lascerà loro il testimone. Ora Martino Lodeserto è il «consulente trullaro». I figli non vogliono mollare.«E perché? Questo lavoro ci piace».
Il boom a sorpresa non se l’aspettavano, i Lodeserto. Da qualche anno il turista ha scoperto la Puglia. I vip hanno cominciato, dalla Murgia al Salento, a comprare masserie; gli inglesi ad accaparrarsi i trulli della Valle d’Itria, a Martina Franca, a Locorotondo. Martino un vip non l’ha visto neppure da lontano. «Ci sono gli architetti, che ne so io?». Le agenzie immobiliari acquistano e rivendono le case dei contadini, i mediatori fanno affari e poi «ci sono i trullari che trullari non sono, non hanno fatto la gavetta» spiega Martino. «Un piastrellista o un muratore s’inventano un mestiere che non conoscono, restaurano trulli usando il cemento e alla fine non reggono alla prova della pioggia». Poi sorride, e si inerpica su un trullo con il sorriso di chi non molla mai.
La Stampa, 6 maggio 2007