Perfetta parità alle elezioni nel piccolo comune dell’Irpinia che combatté i piemontesi e ora vota perfino la Lega. Il legame forte con una terra familiare, dove il nonno mi ha lasciato in eredità (a sorpresa) tanti cugini

di TONIO ATTINO
Domenica 9 giugno saprò probabilmente chi è il nuovo sindaco di Castel Baronia. Avrei dovuto saperlo il 27 maggio, il giorno dopo le elezioni: purtroppo gli 876 elettori si sono divisi esattamente a metà. In 438 hanno votato per il sindaco uscente Felice Martone della lista «Uniti per Castello», in 438 per il suo ex assessore e ora antagonista Fabio Montalbetti della lista «Viva Castel Baronia».
Non so se sia un caso politico, è certamente un caso matematico. Sarebbe bastato un voto in più, di qua o di là, e non staremmo ora a parlarne. In effetti il candidato Montalbetti, sicuro di avere preso un voto in più, ha presentato ricorso al tribunale amministrativo regionale contestando l’annullamento di una scheda che gli avrebbe dato il successo. La competizione potrebbe perciò proseguire oltre un turno di ballottaggio già straordinario per un piccolo comune in cui si vota a turno unico. Dovesse finire di nuovo in parità domenica – o dovesse vincere Martone – il Tar potrebbe successivamente fare vincere Montalbetti, accogliendone il ricorso.
Viste le premesse e il nome, si capisce che Castel Baronia è in Italia, precisamente nell’Avellinese, cioè nell’Italia del sud dove un tempo abitavano i terroni, dove il brigantaggio postunitario fece di tutto per resistere ai piemontesi e dove adesso i terroni possono essere addirittura equiparati agli italiani normali, cioè capaci di votare Lega: alle elezioni europee, il partito di Matteo Salvini ha raccolto 144 voti (il 19,57 per cento).
Paesino di neppure mille abitanti su una collina dell’Irpinia tra Avellino e la Puglia, un paio di chiese, una piazza e tre bar se non mi sfugge qualcosa, più la casa natia di Pasquale Stanislao Mancini, giurista e ministro del Regno d’Italia – il più famoso tra i castellesi – Castel Baronia mi sta a cuore per ragioni sentimentali. Qui mio nonno nacque agli inizi del Novecento, ma vi rimase giusto il tempo perché gli eventi lo ricacciassero un po’ più a sud, condannandolo a tenere dentro di sé per tutta la vita i pochi ricordi di una infanzia frettolosa e infelice. Ero un ragazzino quando gli dissi “nonno, quando sarò grande ci andremo insieme”. Lui fece sì con la testa e sorrise, sapendo che quel giorno non sarebbe arrivato mai. Quando sono andato a Castel Baronia per la prima volta – molto dopo che il nonno ci aveva lasciati – ho ritrovato una famiglia che non sapevo di avere. Ora sono pieno di cugini e Lucia mi dice sempre “questa è casa tua”. E’ bello sentirselo dire. Una notte – faceva un freddo irpino – arrivai in auto e una paletta dei carabinieri mi fece accostare. Tirai giù il finestrino, salutai un carabiniere con i baffoni grandi e scuri circondati dalla nebbia e dissi solo “buonasera”. “Buonasera, patente e libretto” disse lui. Il carabiniere lesse i documenti, mi squadrò, lanciò un’occhiata a moglie e figli, puntò gli occhi di nuovo sulla patente e lesse il mio cognome ad alta voce. “Ma lei è di qui?”. “Sono di Taranto”. “No” eccepì il baffone. “Lei non è di Taranto. Lei è di qui!”
Il carabiniere ripeté il mio cognome, mi fissò e prese a raccontare la storia della mia famiglia o, insomma, quella che lui riteneva fosse la storia, elencando una serie di possibili parenti. Soddisfatto di avermi regalato un pezzo di storia personale, mi riconsegnò patente e libretto, salutò e sorrise; io lo ringraziai per la cortesia.
La notte fu stupenda, mai dormito in un silenzio così irreale. Il giorno dopo la premurosa, dolcissima zia Iolanda ci coccolò come al solito (“Anto’, prenditi il caffè. Come sta papà?”) e io raccontai la piccola disavventura del carabiniere. Maria, mia cugina, sorrise: “Ah, chillo è Gerardo!”.
Gerardo? Anche il carabiniere era alla fine uno dei nostri, legato in qualche modo a una famiglia di cui fino a qualche anno prima non sapevo nulla e adesso si allargava oltre ogni previsione, piena zeppa – guardando all’indietro – di emigranti, scarpari, falegnami, faticatori e poveri cristi che nel loro accidentato percorso di vita avevano incrociato perfino le vicende affascinanti e crudeli dei briganti.
Castello è il rifugio perfetto per chi volesse dimenticare che la terra gira e la vita corre a una esagerata, inutile velocità; e a me piace per questo, per le sue certezze. Due sicuramente non gliele potrà togliere nessuno. La prima, incrollabile, è la Madonna delle Fratte, un cui dipinto originò la nascita del paese. Andò così, più o meno. Nel 1137 un quadro della Madonna fu ritrovato nella boscaglia, fissato a una quercia, e un toro fuggito dalla mandria lo adorò genuflettendosi. Ora sicuramente nessuno di voi ha mai visto un toro genuflettersi davanti a un quadro della Madonna, e neanch’io. Allora la cosa fece un certo scalpore, sicché il dipinto fu portato in una chiesetta affinché potesse trovare un degno riparo. Ma la mattina il quadro non c’era più. Lo ritrovarono nuovamente nella boscaglia, tra le fratte, evidente segno divino che la Madonna voleva qui la sua casa. I fedeli provvidero opportunamente a costruire, nel punto in cui il quadro voleva stare, il santuario di Santa Maria delle Fratte. Poi intorno al santuario, mattone su mattone, casa dopo casa, si sviluppò il paese.
Ogni luogo eredita o sceglie la sua leggenda intorno alla quale costruire la sua comunità e la sua storia. Ecco, così nacquero Castel Baronia e la devozione per la Madonna delle Fratte.
La seconda certezza – ma non è il caso di dire incrollabile – sono i terremoti, con i quali l’Irpinia e Castello hanno sempre avuto una relazione strettissima nel corso dei secoli aggiungendo un sovrappiù di sventure a un popolo abituato alla fatica e alla sofferenza. Starei alla larga da un censimento attendibile, ma se ne ricorda uno catastrofico nel 1732, cui seguirono i terremoti del 1910, del 1930, del 1962, fino al terribile sisma del 23 novembre 1980 che fece, tra Irpinia e Basilicata, 2914 vittime.
Ecco, questo è il paese del nonno, e un po’ anche il mio. Due certezze sono abbastanza. Domenica (forse) saprò chi ne diventerà sindaco.
La Gazzetta del Mezzogiorno, 6 giugno 2019
Pingback: Il caso di Castel Baronia, Martone vince la sfida ma c’è ancora da giocare il “terzo turno” – tonio attino