Banchi, metri e mascherine: la scuola aspetta un’altra rivoluzione di puro fumo

Gelmini, Bussetti, Azzolina, un filo unisce le prediche inconcludenti dei ministri. Che propongono di riformare la riforma precedente lasciando tutto come prima. Anzi peggio

Lucia Azzolina, ministra dell’Istruzione

di TONIO ATTINO

C’è una vecchia barzelletta che non c’entra con la scuola, ma un po’ sì. Un tipo a bordo di una moto sgangherata viene fermato una sera dai carabinieri e incappa in un brigadiere severo che controlla i documenti e squadra il mezzo con attenzione prima di elencare le infrazioni: “Manca l’assicurazione. Manca il bollo. Manca la luce posteriore. Manca anche la luce anteriore. E adesso come la mettiamo?”. Al che il motociclista allarga le braccia: “Brigadiere, non possiamo metterla neanche sul cavalletto. Manca pure quello”.

L’ex ministro Marco Bussetti

Per quanto ci raccontino che è tutto sotto controllo, il sistema scolastico non è in gran forma. Alla vigilia dell’inizio delle lezioni mancano pochi giorni e qualche inevitabile dettagliuccio, ma niente che un ministro della Repubblica ammetterebbe. Sicché dobbiamo serenamente prendere atto che, oltre al Covid-19, abbiamo ancora un problema. Dopo Bussetti, il geniale ministro leghista iper efficiente del “dovete lavorare forte”, pensavamo non potesse accadere altro. Invece è arrivata la ministra Lucia Azzolina. In mezzo, tra l’uno e l’altra, c’è stato in realtà il ministro Lorenzo Fioramonti, però un lampo non lascia traccia. In appena un paio di mesi ha fatto in tempo a dire “se non mi date due miliardi per la scuola mi dimetto” e poi si è dimesso. Così, designata dai Cinquestelle, ai quali era precedentemente toccato designare Fioramonti, è andata al governo la professoressa Azzolina, 37 anni, siciliana, docente di storia e filosofia, vincitrice di un concorso da dirigente scolastico, cioè da preside. Una garanzia. Non avendo ottenuto la delega all’Università e alla Ricerca, affidata al professor Gaetano Manfredi, la ministra ha potuto così dedicarsi completamente a un sistema che conta (dati dello scorso anno) 8,4 milioni di studenti, 835mila insegnanti e 41mila sedi scolastiche, andando purtroppo incontro a due sfortune: fare il ministro non sapendo da dove cominciare e farlo nel momento oggettivamente più difficile.

Quando a marzo la pandemia ha costretto a chiudere le scuole, la ministra si è affrettata a rassicurare i ragazzi che nessuno sarebbe stato bocciato. L’amnistia decisa in quattro e quattr’otto l’ha poi rinegoziata con se stessa revocandola parzialmente, cosicché la ministra ha deciso che si poteva – in casi particolari – essere bocciati nonostante la pandemia. Poi, parlando ogni giorno e rettificandosi il giorno successivo (ma a volte anche il giorno stesso), ci ha regalato gli scenari in cui la scuola sarebbe rinata dopo gli effetti funesti del virus. Cioè con le pareti di plexiglass tra i banchi (ipotesi smentita), con più aule da reperire chissà dove, con il formidabile software utile a misurare grandezza delle aule che qualche buontempone ha voluto scioccamente chiamare metro, fino ai banchi monoposto con le rotelle, la vera rivoluzione che dovrebbe cambiare profondamente la didattica della scuola italiana rendendola finalmente moderna. Potrebbe accadere davvero se le scuole, soprattutto al Sud (al Nord stanno meglio, forse) ci fossero aule in numero sufficiente anziché poche aule e sovente troppo piccole, spesso senza vetri e senza riscaldamento. E se ci fossero bagni veri anziché bagni senza porte e senz’acqua; e magari strutture idonee ad ospitare perfino i disabili, cioè alunni e alunne costretti il più delle volte a non potersi muovere perché le leggi dello Stato sull’abbattimento delle barriere architettoniche sono in grande parte ignorate. Benché l’inclusione sia un caposaldo del sistema scolastico italiano, solo una scuola su tre risulta accessibile agli alunni con disabilità motoria. Il Sud (dati Istat) ha il 29 per cento di scuole a norma mentre il Nord è al 38. Eppure i disabili sono il 3,3 per cento della popolazione studentesca, 284mila in totale. Negli ultimi dieci anni sono aumentati di 91mila unità.

Mancano le aule, gli istituti sono inadeguati. Solo una scuola su tre risulta accessibile agli alunni con disabilità motoria. Al Sud è a norma solo il 28% degli edifici

Adesso questi sono problemi collaterali perché purtroppo siamo alle prese con il Covid-19. Quindi dobbiamo anzitutto rispettare le distanze. Oltre un metro tra uno studente e l’altro, si era detto in un primo momento, quando si pensava ottimisticamente di potere reperire nuove aule chissà dove. No, basta un metro, si è detto poi, quando il sogno delle nuove aule era naturalmente svanito e bisognava mettere nelle classi il maggior numero di studenti. Ma per capire in quale demenziale faccenda ci siamo cacciati bisogna ricordare che in aula vige il metro statico, non il metro dinamico. Cioè la bocca di ogni studente deve essere a un metro da quella dell’altro studente solo all’inizio della lezione, quando sono tutti seduti. Se poi le bocche hanno l’esigenza di muoversi, possono farlo tranquillamente, purché siano coperte dalla mascherina e a condizione che i legittimi proprietari (i proprietari delle bocche, che in realtà si chiamerebbero “rime buccali” secondo il comitato tecnico-scientifico, cioè l’organismo cervellotico che traccia la strada affinché il ministro non si smarrisca) si siano fatti misurare preventivamente la temperatura corporea a casa. Anzi no, a scuola. Beh, dobbiamo avere pazienza. Le cose effettivamente non sono così chiare, ma neanche prima lo erano, perché la scuola è effettivamente una cosa un pochino complicata.

Le regole demenziali sul metro (dinamico o statico) nascondono le lacune di un sistema complicato e l’assenza di soluzioni

La ministra in carica, per esempio. Quando è arrivata l’emergenza Covid-19, non è vero che non abbia fatto niente (a parte parlare, smentire e rettificare). Ha inventato – bisogna dargliene atto – il Pia e il Pai. Il Pia sta per piano di integrazione degli apprendimenti e il Pai sta per piano di apprendimento individualizzato. Entrambe le sigle sono state introdotte opportunamente dopo la Dad, la didattica a distanza, e tutt’e tre le sigle insieme hanno arricchito la sterminata, fitta foresta di acronimi della burocrazia scolastica in cui fioriscono Pei, Pdp, Pof, Ptof, Gps, Pei, Gae, Bes, Mad, Pdf e altre decine di cosette incomprensibili.

Quando qualcuno l’ha criticata, la ministra ha risposto che fanno tutti così perché lei è una donna e per di più dei Cinquestelle. Poi parlando della rivoluzione che sta covando ogni giorno e sta ormai per schiudersi, ha puntualizzato che lei ha lavorato e studiato moltissimo, cioè “mi sono fatto un mazzo quadrato” (congratulazioni vivissime), sottolineando, a proposito dell’assunzione dei docenti, che “in un Paese civile i concorsi andrebbero fatti ogni due anni, come succede in Europa”. In pochi – forse nessuno – le ha ricordato che in un Paese civile non dovrebbero esserci docenti vincitori di concorso precari da vent’anni, ragione per la quale nel 2014 l’Europa, cioè la Corte europea di giustizia, ha condannato l’Italia perché continuava (continua) a utilizzare i precari con contratti a termine anziché stabilizzarne il rapporto di lavoro.

L’ex ministra Maria Stella Gelmini

Se avesse scelto una linea un po’ più sobria e oggettivamente difensiva, parlando meno per sbagliare meno, la ministra Azzolina sarebbe perfino riuscita a non fare riemergere il volto della dimenticabile Maria Stella Gelmini, ministra dell’istruzione edizione 2008-2011 (governo Berlusconi), il cui eloquio spocchioso e monocorde da maestrina petulante ci regalò momenti entusiasmanti con le sue gaffe, tra le quali, caso di portata internazionale, i complimenti agli scienziati per gli esperimenti sulla velocità dei neutrini e il contemporaneo elogio al nostro grande Paese per avere contribuito “alla costruzione del tunnel tra il Cern ed i laboratori del Gran Sasso, attraverso il quale si è svolto l’esperimento”: un tunnel di 700 chilometri mai esistito. Maria Stella Gelmini in queste settimane ha criticato duramente Lucia Azzolina (e non è giusto, per di più tra donne) con il solito tono saccente di chi sa di saperla più lunga di tutti gli altri. Ma in questo le due signore, ex ministra e ministra in carica, si somigliano.

Ecco, a questo punto siamo arrivati, metro più, metro meno. Il 14 settembre, primo giorno di scuola, è vicino, arriverà in un soffio. Bene o male, andrà. Il problema vero, in fondo, non è migliorare la scuola a ogni riforma, ma sperare che ogni ministro in carica faccia meno danni del precedente per non distruggerla del tutto. A settembre faremo il consuntivo sulla ministra Azzolina, ma intanto possiamo farci una domanda: può un Paese civile permettersi tutto questo?

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