Il calcio, il principe e il giornalismo. Addio a Dino Salvaggio, una vita in redazione

La scomparsa dell’ex direttore del Corriere del Giorno di Taranto. E una sua intervista sul calcio e il giornale. Gli amori, gli scontri, i successi. “Ma ho cercato di trovare sempre qualcosa di buono anche nelle sconfitte”

Raccontavano i suoi vecchi amici del vecchio Corriere del Giorno, il quotidiano di Taranto – Paolo Aquaro, Narciso Bino, Franco Cigliola, Nino Botta, Pino Galeandro – che un giorno il più buontempone del gruppo, Peppino Tripaldi, per tutti “il principe”, percorse lentamente il corridoio che portava ai bagni e a un tratto si affacciò sull’uscio della stanza in cui Dino – Clemente Salvaggio, il padrone di casa – si intratteneva con alcuni amici. “Dottore, posso andare in bagno?”. Dino, conoscendo le sortite bislacche del “principe”, rispose con il suo tradizionale aplomb: “certo, prego”, sperando che la moglie di uno dei suoi amici, sorpresa da quella richiesta così formale rivolta da un giornalista a un altro giornalista, considerasse il gesto solo un eccesso di cortesia. Passarono alcuni minuti prima che si udisse un urlo disumano. Ci fu qualche istante di silenzio. Gli ospiti si guardarono stupefatti e Dino cercò di rassicurare che non c’era nulla di cui preoccuparsi. Dopo poco Peppino ricomparve, infilò la testa nella stanza, il volto sofferto, lo sguardo come al solito pazzerello: “Scusatemi, ho messo la supposta”. Una cinquantina di anni fa queste scene non erano insolite ma anche quando i suoi amici un po’ svitati decidevano di metterlo in imbarazzo, Dino reagiva con la solita simpatica naturalezza e il suo bellissimo sorriso. Tutti gli riconoscevano, con le doti professionali, la capacità di fare prevalere sempre la moderazione e l’equilibrio. Aveva una saggezza innata. Per questo, nato giornalista sportivo e tifosissimo del Taranto, si ritrovò a dirigere il giornale al quale aveva dedicato una vita intera, e con il quale aveva attraversato momenti belli, periodi critici e diverse chiusure dopo che la Democrazia cristiana, il partito che l’aveva sostenuto, decise di sfilarsi. Rimase direttore dal 1991 fino al 2004, simbolo del suo Corriere, uscendone per andare in pensione. Vide poi il giornale eclissarsi e chiudere definitivamente, non potendo fare nulla per evitarlo. Ieri, 18 luglio 2022, Dino se n’è andato. Aveva 88 anni. Era una persona dolce, disponibile, gentile. Un galantuomo. Nel febbraio del 2020 io e il mio amico Claudio Frascella, che aveva lavorato con lui al Corriere, andammo a trovarlo a casa. Parlammo a lungo. Dotato di una memoria portentosa, ricordava ogni dettaglio di ogni evento dello sport e della cronaca. Il calcio, cioè il Taranto, era sempre la sua passione. Quando stavamo per andare via, Dino invitò la moglie a portarci due scatole di cioccolatini. Ci teneva a non farci uscire di casa a mani vuote. Ci abbracciammo. Claudio, nel 2018, lo aveva intervistato. Ripropongo quell’intervista. E’ un piccolo omaggio a un uomo che ha vissuto per il giornalismo e per il calcio. E al quale abbiamo voluto bene. (t.a.)

Dino Salvaggio

di CLAUDIO FRASCELLA

Una vita da cronista, poi da direttore. Clemente Salvaggio ricorda la sua attività e il suo cuore da giornalista e tifoso del Taranto. Nato a Livorno, confessa la sua totale fede rossoblù. «Scusate – dice – ma forse Gianni Brera, al quale non mi paragono, per carità, non tifava Genoa? E nessuno gli dava contro, perché la gente che fa e ha fatto il nostro mestiere deve essere innanzitutto equilibrata, ma non lo scopriamo adesso che ad avvicinare all’arte della scrittura pallonara prima di ogni cosa sia una fede calcistica». Dino apre il cuore a qualche confidenza. 

«Ho fatto il giornalista per seguire ovunque il Taranto, talmente amavo la squadra della mia città – nonostante i miei “natali” livornesi – e anche se per qualche tempo, ai miei di tempi, per intenderci, la squadra condivise la fusione con l’Arsenale, io al campo sportivo urlavo “Taranto! Taranto!”; certo, tutti i tifosi, per farla breve, urlavano “Arsenale! Arsenale!”, ma io la pensavo diversamente; più avanti la svolta e, allora, la storia cambiò, ci unimmo tutti per tifare “Taranto”».

Cominciò a scrivere per il “Corriere del giorno”, il quotidiano nel quale ha speso una vita.

«Ho sempre respinto qualsiasi tipo di accusa, cercato di trovare sempre qualcosa di buono anche nelle sconfitte: il tarantino è un grande tifoso, la sua passione non va dispersa; ci mette poco a incupirsi e per il motivo opposto – due vittorie di fila, per intenderci – si esalta; dunque, articoli e titoli riportati sulle pagine del Corriere erano indirizzati a fare di squadra e pubblico una cosa sola; ad ogni retrocessione il pubblico si allontanava: non volevo che questo accadesse, dunque per quello che poteva incidere la mia opinione cercavo di convincere i tifosi ad andare allo stadio: solo gli incassi avrebbero incoraggiato i presidenti – e ne abbiamo avuti di forti e avveduti, che ci hanno fatto sognare – avrebbero preso a cuore la squadra senza, possibilmente, rimetterci tanti soldi».

Dunque, sempre e comunque, “Forza Taranto!”.

«Sempre, in qualsiasi momento, non scherziamo; trovare qualcuno che si impegni a fare una squadra competitiva è fondamentale: rischiamo di perdere pezzi, non scarichiamo mai la squadra; Massimo Giove, da quello che vedo, leggo e sento – provo a stare sempre sul pezzo – ha allestito una bella squadra, diamogli tempo per mettere le cose a posto; una buona squadra sulla quale lavorare è il punto di partenza».

Il Taranto e i giocatori che hai amato?

«Ogni Taranto, dalla serie D alla B, ha occupato un posto del mio cuore; l’ho sostenuto più volte: non voglio essere banale, chi indossa quella maglia è uno dei nostri, dunque, come fosse un matrimonio – sportivo, s’intende – va sostenuto nella buona come nella cattiva sorte; mette i colori rossoblù? Allora, “Forza e coraggio, andiamo a vincerla!”».

Ma un flashback ?

«Le gare al “Corvisea”, diventato “Mazzola”, che aveva una pista ciclistica tanto da ospitare eventi sportivi importanti; poi “Salinella”, “Iacovone”, senza dimenticare il campo dell’“Arsenale” – tempi di Pro Italia e Audace – nel quale giocava appunto l’Arsenale diventato più avanti “Arsenaltaranto”. La nostra città non poteva mantenere il passo delle grandi piazze, penso a Milano e Genova, dove avevano tradizione e due squadre in serie A, così – ripeto – si pensò a una soluzione più prudente: unire le forze e fare un’unica squadra che potesse lottare per traguardi decorosi».

I giocatori, chi ricordi?

«Silvestri, attaccante, originario di Molfetta: segnava trenta, quaranta gol a campionato; insieme con Castellano e Petagna, coppia straordinaria di centrocampo, formava una linea d’attacco irresistibile: Silvestri, Schillaci e Bellucco. Ricordo Tedeschi, tarantino, grande portiere, proverbiali le sue uscite a valanga sugli avversari: guai andargli addosso, solo una constatazione amichevole poteva salvarti; ricordo il nostro Tonino De Bellis, grande terzino, tarantino anche lui, acquistato dal Palermo mi pare per qualcosa come trenta milioni di vecchie lire, cifra importante per quei tempi, parliamo degli Anni 60; andando a casaccio, gli attaccanti Tortul, dopo l’avventura nell’Arsenaltaranto vestì le maglie di Sampdoria e Triestina e, se non erro, anche della Nazionale; e Virgili, dopo Taranto andò a giocare con Fiorentina e Torino; giocatori buoni e di alto profilo ne abbiamo avuti sempre…».

Tempi più recenti?

«Napoleoni, Jannarilli, Casini, Biondi, Selvaggi, il compianto Iacovone, De Vitis, Maiellaro, ognuno di loro una storia; ma ho solo risposto a un gioco, quelli che mi venivano in mente, rischio di dimenticarne un centinaio…».

Un Taranto da titoli cubitali e caroselli stradali.

«Quello della promozione in serie B con allegata edizione speciale il giorno della sentenza definitiva, Stagione 68-69, campionato di serie C; l’anno dopo avremmo disputato il campionato cadetto: merito di Michele Di Maggio, già in sella a un Taranto che fra “Mazzola” e “Salinella”, stadio costruito da lui nell’arco di un’estate, lasciò intravedere grandi cose».

Il “Corriere” seguì l’intera vicenda. 

«Di Maggio aveva fiutato che qualcosa non andasse nel campionato che poi si rivelò falsato; si improvvisò investigatore e andò a trovare un calciatore del Trapani, De Togni, che ammise di essere stato avvicinato da tale Selmo, calciatore della Casertana, che gli offrì un bel compenso se si fosse impegnato alla morte contro il Taranto; Di Maggio trascinò tutti in tribunale e alla fine ebbe ragione; dalle pagine del mio quotidiano lo sostenni, il giorno della sentenza con la redazione confezionammo alla velocità della luce – per quei tempi, stampavamo a piombo – un’edizione straordinaria: curiosità, non avendo una B che prendesse l’intera pagina, la realizzarono velocemente in tipografia: un pezzo di legno, sapientemente tagliato. Fu così che anche il “Corriere” ebbe la sua B!».

I presidenti del “tuo” Taranto.

«Abbiamo avuto grandi presidenti, gente che ha allestito fior di squadre con grandi giocatori: dunque, Di Maggio, Fico, Carelli, Pignatelli, Fasano; ma ve l’immaginate oggi, uno di loro, passionale o battagliero? Bei momenti. Detto questo, però, bisogna dare tempo alla nuova società, al nuovo Taranto, dal presidente ai dirigenti. Totò diceva: “i figli non sono mica fiaschi che si abboffano!”, pertanto i tifosi devono avere pazienza: non so voi, ma io non ho fretta, posso aspettare…».   

12 ottobre 2018

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