Il ragazzo timido diventò un mito

Dopo quasi mezzo secolo la città dell’Italsider non ha dimenticato il suo centravanti scomparso tragicamente a 25 anni. Era il 6 febbraio 1978. Erasmo Iacovone fece sognare Taranto. E ora lo celebra anche chi non lo ha mai conosciuto

Un blog pubblica normalmente i testi del suo autore. Io ho scelto di ospitare anche articoli non miei accogliendo talvolta le proposte di alcuni colleghi e amici. In questo caso ospito con grande piacere un articolo Marcello Di Noi – collega e mio amico da sempre – dedicato a Erasmo Iacovone, centravanti del Taranto Calcio, scomparso tragicamente nel 1978. Benché siano trascorsi 45 anni, Iacovone è un ricordo fortissimo per i giovani di quegli anni e un volto noto, addirittura familiare per i giovani d’oggi, che pure non l’hanno mai conosciuto. Capita ai miti. Anche Iacovone lo è diventato. Eppure era un ragazzo normale, timido, silenzioso.

di MARCELLO DI NOI

Cos’è stato per davvero? Leggenda? Illusione? Mito? O semplicemente una grande speranza? Forse un po’ tutto questo. Di sicuro un grande centravanti, uno che avrebbe fatto strada, per dirla semplicemente. Erasmo Iacovone e il Taranto, il calciatore e la squadra rossoblù, l’uomo diventato simbolo eterno. E soprattutto sogno infranto. Da un terribile e tragico incidente.
Sono trascorsi 45 anni, praticamente una vita. Eppure, lui è sempre sullo sfondo della Taranto del pallone. Che non dimentica, non può. Perché quel centravanti rappresentò tutto ciò che un tifoso desiderava e che invece un destino amaro cancellò in un niente.

Jim Morrison

Com’è possibile ancora oggi coltivarne quel mito, nonostante i decenni trascorsi e quel calcio che non c’è più? Idoli che non tramontano. Un po’ come gli immortali del rock e del cinema. Perché Iacovone lasciò questa terra a 25 anni, età troppo giovane, come era accaduto a Jim Morrison, a 27, o a James Dean, a 24. Icone senza tempo. Iacovone fu questo, tatuaggio di una squadra che sognava in grande trasformato in dramma infinito. Taranto in quegli anni superava a fatica la grave crisi dell’Italsider, purtroppo illudendosi con il suo raddoppio: viveva una specie di benessere diffuso e purtroppo falso, si sentiva una grande città pur nella sua mascherata fragilità. E con la squadra di calcio sospirava finalmente la serie A, affidandosi a quel centravanti taciturno ma dallo stacco imperioso capace di terrorizzare le difese avversarie. Sì, quel Taranto rustico e ruspante costruito da uomini callosi e nobili come Fico (il presidente) e Rosati (l’allenatore) strappava rumori e inni nell’allora Salinella, mettendo a dura prova coronarie e tubi Innocenti, la struttura metallica che sorreggeva lo stadio.

Era una Woodstock la domenica con il calcio, col rischio cattiva digestione e reflussi vari pur di raggiungere il campo e urlare. Già, domeniche d’altri tempi mai più vissute, in cui quei rossoblù che sgambettavano sull’erba mica pensavano al procuratore o ai selfie o a scrivere sui social. Neppure i tifosi che semplicemente cantavano, esponevano striscioni, sventolavano bandiere e s’esaltavano gridando “Iaco-Iaco-Ia-co-vo-ne!”.

Poi la tragedia, quella maledetta notte del 6 febbraio del ’78. Lo schianto, una vita distrutta, un campione che scompare, una città che piange. E quel calcio che negli anni non sarà più come prima. No, non ci sono grandi perchè sul “mito Iacovone”. C’è chi suggerisce giustamente che non sapremo mai quale storia avrebbe avuto, ma sappiamo cosa ha
tolto ai suoi fan. Quell’uomo riccioluto e baffuto che di professione fu calciatore, era ed è e rimarrà la dannata bellezza di una città. Tutto qui.

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