Matera da “vergogna nazionale” a capolavoro: i Sassi guardati con gli occhi di Levi, Olivetti e Bassani

Matera (foto di Carlo d’Este)

di TONIO ATTINO

Molle e paciosa, Matera si è ritrovata seduta su una miniera e non lo sapeva. Fino a mezzo secolo fa sapeva viceversa di doversi vergognare dei Sassi, delle grotte in cui uomini e animali vivevano insieme in una commistione primitiva. 

Era la «vergogna nazionale» in cui Palmiro Togliatti vedeva un paese retrogrado e allo stesso tempo lo scenario che folgorò Carlo Levi in Cristo si è fermato ad Eboli e poi il suo amico imprenditore Adriano Olivetti, l’inventore della Martella, il borgo creato per importare al Sud il Progetto Comunità concepito nel canavese e ospitare gli sfollati dei Sassi. Quando nel 1964 Pier Paolo Pasolini scelse Matera per ambientarvi il Vangelo secondo Matteo, aprì la porta alla comprensione. I Sassi erano una cosa brutta oppure una cosa bella? Ecco, ci siamo arrivati allora. In realtà i Sassi sono «una metafora gigantesca della storia dell’umanità» ha spiegato Andrea Carandini, archeologo e presidente del Fai (Fondo Ambiente Italiano), parlando del ripopolamento ottenuto attraverso le due tappe di uno strano cammino a ritroso in cui il nuovo è diventato vecchio, il vecchio è diventato nuovo. Cosicché i Sassi vengono finalmente guardati con l’attenzione di Levi, Olivetti e Giorgio Bassani, presidente di Italia Nostra al quale nel 1967 faceva spavento il destino cui l’uomo avrebbe potuto destinare quel capolavoro del neolitico. Senza quelle due tappe, il cammino non ci avrebbe portato qui. Nel 1977 Matera vinse un concorso internazionale per il recupero dei Sassi grazie a un gruppo di studiosi autoctoni (Tommaso Giura Longo, Letizia Martinez, Renato La Macchia, Lorenzo Rota, Luigi Acito) e nel 1993 l’Unesco li inserì nel patrimonio mondiale dell’umanità. Non è stato facile destreggiarsi tra gli ostacoli di un Sud spesso ignavo e Matera non ce l’avrebbe fatta senza le battaglie di Leonardo Sacco, giornalista amico di Olivetti e Levi, dell’architetto Amerigo Restucci, degli studi di Cosimo Damiano Fonseca, del circolo culturale La Scaletta. 

Chiunque sia sfuggito all’elenco non può sentirsi escluso dai meriti; sono doppi per via della fatica di battersi al Sud. Quello materano, popolo mite e buono, non è un esempio di intraprendenza. Sentirsi proveniente dalla caverne non ha aiutato. In molti altri luoghi i centri storici si sono svuotati quando la modernità della ricostruzione del dopoguerra ha considerato primitivo perfino vivere tra i vicoli. Erano brutti; pure quelli sono diventati belli. In anticipo sui tempi erano gli stranieri e Angelo Uricchio, materano, rettore dell’Università di Bari, ricorda i suoi 14 anni, «facevo la guida nei Sassi ai turisti tedeschi, erano documentatissimi». Osservavano quel capolavoro mentre una «assoluta minoranza combatteva per salvaguarli. C’erano Sacco, Guerricchio, Ortega…». Il rettore elenca i nomi. Tanti, pochissimi rispetto ai 60mila materani felici di essere cittadini della capitale europea della cultura e ora provvisti, ammette Uricchio, di «una buona propensione culturale». Certo bisognerà evitare strambi autogol. A marzo scorso il professor Carandini arrivò a Matera per presentare Casa Noha, edificio settecentesco recuperato dal Fai e porta di accesso alla Matera antica, s’infuriò apprendendo del progetto di costruzione di decine di pale eoliche intorno ai Sassi. Una follia. Meno divertente dello spot di Trenitalia: nel 2005 presentò offerte speciali per Matera dimenticando l’assenza di una stazione delle Ferrovie dello Stato. Capitale europea della Cultura, Matera è l’unico capoluogo di provincia in Italia a non averla ancora. 

Corriere del Mezzogiorno-Corriere della Sera, 19 ottobre 2014

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