Calciatore, operaio, italiano con un cuore grande: perché il Lussemburgo ha amato mio padre René Pascucci

Martedì 15 gennaio la città di Gualdo Tadino (Perugia) ricorderà René Pascucci, ex capitano e idolo della Jeunesse d’Esch, la squadra di calcio più titolata del Lussemburgo. Originario di Gualdo, famiglia di emigranti, Pascucci divenne il trascinatore della squadra degli operai e dei minatori di Esch-sur-Alzette. Gualdo assegnerà alla memoria di Pascucci il Premio Beato Angelo. Lo ritirerà la figlia Diane, che qui ricorda la straordinaria figura del papà.

di DIANE PASCUCCI

Sono nata nel 1965. Mio padre René Pascucci era già maestro di educazione fisica. Per due anni fu anche il mio maestro. A scuola era molto amato dai colleghi e dagli allievi. Spesso qualcuno veniva a salutarlo: ex calciatori che aveva allenato o ex allievi di scuola. Papà ne era orgoglioso. Lo conoscevano tutti, gli volevano bene, era stato l’idolo della Jeunesse Esch, il capitano della squadra più forte del Lussemburgo. Non ho un solo ricordo di mio padre sgarbato, sgradevole con qualcuno. Era una persona dolce. Credo che sia una delle ragioni per cui la sua vita sia andata così bene in Lussemburgo, dove era nato nel 1926. Nel mondo del calcio i suoi colleghi di lavoro, lo apprezzavano tutti, italiani o lussemburghesi. A mio padre piaceva molto il lavoro di insegnante, gli dava la possibilità di continuare a fare sport e insegnare ai bambini e agli adolescenti.

Papà continuava ad avere un pezzo di cuore in Italia e a Gualdo Tadino, la sua terra di origine. Figlio di emigranti, nato a Esch-sur-Alzette, qui aveva frequentato la scuola elementare e la scuola di italiano. Trovò lavoro da carpentiere nell’acciaieria. Poi per via del calcio gli proposero il lavoro di maestro di educazione fisica. Della sua vita da calciatore non posso dire molto, se non quello che mi hanno detto e che egli stesso mi raccontava. Quando sono nata, papà aveva 39 anni, aveva giocato per ventidue anni e smesso da quattro, nel 1961. L’ho visto per di più come allenatore. Solo una volta l’ho visto giocare, a 50 anni, con la squadra B della Jeunesse Esch, diventata poi campione della categoria. Mi ha sempre molto raccontato dei suoi successi, soprattutto della partita giocata contro il grande Real Madrid di Di Stefano, nel 1959, stadio Santiago Bernabeu, Coppa dei Campioni. La Jeunesse perse sette a zero, ma quell’incontro è rimasto nella storia.

Parlava sempre di calcio, era la sua passione. Mi raccontò della sfida con il Real Madrid e della sua grande Jeunesse. Ci ha trasmesso la passione per la nazionale italiana. Ai mondiali di Germania abbiamo tifato tutti insieme

Il calcio era il suo grande amore. René Pascucci, mio padre, ha seguito le partite della sua Jeunesse fino all’età di 88-89 anni. Dopo, per via della sua malattia, non gli è stato più possibile. Però di calcio parlava sempre. Ci ha trasmesso la passione per il pallone e per la nazionale italiana. A casa seguiamo ancora tutte le partite, tifiamo per la squadra azzurra, abbiamo festeggiato tutti insieme la vittoria al Mondiale del 2006 in Germania: tutti noi, io, i miei figli, papà, mio marito Marino Fumanti, anche mia madre, che è lussemburghese. Mio figlio più piccolo, Kevin, 24 anni, da bambino ha giocato nella Jeunesse. Ora gli piace il golf, ma è un grande tifoso dell’Italia e della Juventus. Mio figlio più grande, Christophe, 28 anni, non è così sportivo. Entrambi adoravano il nonno.

La storia della mia famiglia comincia in Umbria. Il padre di mio padre, nonno Giovanni, era nato a Gualdo Tadino nel 1889. Nel 1914 sposò la nonna, Domenica Giovagnoli. Poi erano emigrati in Lussemburgo. Nonno lavorava in miniera, come tantissimi italiani. Nonna Domenica era casalinga. Mio padre aveva una sorella e due fratelli: Maria e Louis nati a Gualdo prima che i miei nonni facessero le valigie; mio padre e Yvo a Esch. Zio Yvo vive a Soleuvre, nelle vicinanze di Esch-sur-Alzette. Zia Maria tornò a vivere in Italia molti anni fa, in Umbria, a Gaifana, frazione di Gualdo Tadino, la terra della famiglia Pascucci. Mia cugina, la figlia di Maria, ha una figlia, Angela Biagoni-Bordicchia, che vive ancora a Gaifana. E la sola famiglia che io conosca ancora a Gualdo.

L’Italia gli era rimasta dentro, la amava, Gualdo la portava nel cuore. Si chiamava Renato, cominciarono a chiamarlo René nel periodo della guerra. La famiglia era il suo mondo. Siamo orgogliosi che non sia stato dimenticato

Papà non aveva mai dimenticato la sua terra. Aveva conosciuto e sposato Puppa, mia mamma, ritrovandosi con una famiglia un po’ italiana e un po’ lussemburghese. Era un miscuglio perfetto, un’unione meravigliosa. Quando andavamo in Italia dai suoi parenti oppure a Jesolo, Roma, Riccione, vedevo l’amore che papà aveva per l’Italia. Gli era sempre rimasta nel cuore. Papà si chiamava Renato, è quello il nome sui documenti, ma credo che cominciarono a chiamarlo René nel periodo della guerra. Non ha mai negato il suo aiuto a chi ne avesse bisogno. Era fatto così. Gli piaceva ballare, amava la musica. Insieme a mia madre abbiamo ballato con lui fino a sei giorni prima che ci lasciasse. I miei genitori non perdevano occasione per ballare. Il centro del mondo di papà era la famiglia.  È stato un padre, un marito, un suocero e un nonno meraviglioso. Per la sua famiglia c’era sempre, ci siamo sentiti molto amati. Se n’è andato a marzo del 2018 all’età di 91 anni. Ci manca moltissimo. Ma siamo orgogliosi che René Pascucci, mio padre, non sia stato dimenticato. 

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