L’immortalità non conviene Aveva ragione De Crescenzo: la vita non va allungata, va allargata

di TONIO ATTINO

Jeff Bezos, patron di Amazon e terzo uomo più ricco del mondo (patrimonio stimato in 215 miliardi di dollari), vivrà probabilmente fino a 150 anni e come lui Elon Musk, fondatore di Tesla, consigliere del presidente statunitense Trump nonché uomo più ricco del mondo (patrimonio stimato in 342 miliardi di dollari). Entrambi potrebbero diventare addirittura immortali. È il progresso.

Dopo avere investito nelle missioni spaziali con l’obiettivo di colonizzare altri pianeti, dove andrebbero a vivere comodamente prima che la Terra imploda o finisca i suoi giorni in qualche modo terrificante, Bezos e Musk hanno versato un bel gruzzoletto in due ambiziosi progetti scientifici.

Jeff Bezos

Altos Lab ha una attrezzata squadra di scienziati in cui figura (anche) il premio Nobel giapponese Shinya Yamanaka. Grazie all’impegno di Bezos e al suo portafoglio (tre miliardi di dollari versati in dieci anni), si occupa di rigenerazione cellulare. L’obiettivo è ringiovanire gli esseri umani affinché vivano più a lungo, possibilmente per sempre. Neuralink Corporation, società di neurotecnologie fondata da Musk e valutata 5 miliardi di dollari, ha l’obiettivo di impiantare nel cervello umano delle interfacce che gli consentano di dialogare con il computer, aiutando così a curare le gravi disabilità neuromotorie. Benché Musk dichiari di non volerla, i super ricchi come lui, sempre più ricchi e sempre più potenti, puntano ambiziosamente all’immortalità. Potranno comprare anche questa?

Non c’è niente di male, in fondo. Il sogno della vita lunga, addirittura infinita, è antico. Dopo molti progressi, il percorso si è fatto interessante. Nel 1900 l’aspettativa di vita nel mondo era mediamente di trentadue anni. Nel 2019 è salita a settantadue, con punte massime nel Principato di Monaco (86,8), a San Marino (85) e in Giappone (84,6 anni). L’Italia è a 83: non è male se consideriamo che nel 1950 era a 65. Si sta un po’ peggio nel Sud del mondo. Nella Repubblica Centrafricana possono aspettarsi di vivere appena 53,3 anni. Devono arrangiarsi. Parliamo di medie e ovviamente vanno prese sempre un po’ con un cautela. Sottolineava lo scrittore napoletano Luciano De Crescenzo che chi vive con il culo nel forno e la testa in frigorifero dovrebbe stare mediamente bene. Purtroppo, non è così.

L’essere umano le prova tutte. Cominciò il professor James Bedford, docente di psicologia dell’università della California. Il 12 gennaio 1967, ucciso da un tumore – aveva 73 anni – si fece ibernare. Fu il primo caso al mondo. Il corpo è conservato nelle strutture della Alcor Life Extension Foundation, una delle compagnie che continuano ad offrire il servizio ancora oggi. La crionica permette di congelare un corpo nella speranza che i progressi della medicina permettano di farlo tornare in vita in futuro. Il professor Bedford è il primo candidato alla resurrezione. 

Fino ad oggi si contano già 377 persone ibernate – una quindicina sono italiani – e alcune migliaia attendono che si liberi un posto affinché il loro corpo venga crioconservato e possibilmente risvegliato tra qualche secolo, quando tutte le malattie saranno curabili. Certo ci saranno delle controindicazioni, piccole scocciature. Anzitutto ci si risveglierà in un mondo sconosciuto, con tecnologie e coabitanti mai visti prima, nel quale, ammesso che esistano ancora i bar, non ritroveremo neppure il barista che conosce alla perfezione i nostri gusti e sa se prendiamo l’espresso in tazza fredda, il caffè macchiato in tazza calda o il ginseng amaro. E’ altamente improbabile che si sia fatto ibernare anche lui e ve lo ritroviate nuovamente davanti fra trecento anni.

L’ibernazione non è alla portata di tutti, costa cara, diciamo più o meno duecentomila euro, a meno che – e qui c’è una subordinata molto curiosa – non si voglia fare ibernare soltanto il cervello: nel qual caso bastano 60mila euro. Il tariffario non spiega a che cosa serva farsi ibernare solo il cervello se poi, tra qualche secolo, non sapremo dove metterlo. In ogni caso è una pratica da ricchi per la quale bisogna rivolgersi a un paio di società statunitensi, una svizzera e una russa, le uniche finora abilitate a conservare un corpo a 196 gradi sotto zero. Ma questa storia sembra ormai vecchiotta. Con le ricerche finanziate da Bezos e Musk stiamo andando ben oltre l’ibernazione. L’obiettivo è diventare immortali. Converrà davvero? Vediamo un po’. Forse l’asino casca sulle disuguaglianze.

Nel suo ultimo rapporto, l’organizzazione non governativa Oxfam, confederazione internazionale di organizzazioni non profit, ha snocciolato un po’ di dati significativi. Il numero delle persone che vive sotto la soglia di povertà, cioè con meno  di 6,85 dollari al giorno è di 3,5 miliardi (700 milioni, secondo la Banca Mondiale, che considera però chi vive con meno di 2,15 dollari al giorno) mentre la ricchezza dei miliardari è cresciuta, nel 2024, di duemila miliardi di dollari, ossia 5,7 miliardi di dollari al giorno, con un ritmo tre volte superiore rispetto all’anno precedente. In pratica ogni settimana, in media, sono nati quattro nuovi miliardari. Nel mondo insomma ci sono in realtà due mondi: uno abitato da ricchi sempre più ricchi, uno da poveri sempre più poveri. I ricchi vivono benissimo e dettano le regole, i poveri vivono malissimo e le subiscono.

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Ancora i dati Oxfam: l’1% più ricco possiede il 43% di tutte le attività finanziarie globali. In Medio Oriente, l’1% più ricco detiene il 48% della ricchezza finanziaria; in Asia, l’1% più ricco possiede il 50% della ricchezza; e in Europa, l’1% più ricco possiede il 47% della ricchezza. Guardando all’Italia, a fine 2022, l’1% più ricco deteneva una ricchezza 84 volte superiore a quella del 20% più povero della popolazione. “Ai super-ricchi piace dire che per accumulare enormi patrimoni ci vogliono abilità, determinazione e duro lavoro. Ma la verità è che gran parte della ricchezza estrema non è ascrivibile al merito”, ha sottolineato Amitabh Behar, direttore esecutivo di Oxfam International. “Molti dei cosiddetti self-made men sono in realtà eredi di grandi fortune, tramandate per generazioni”.

Non va benissimo dalle nostre parti. Un italiano su dieci, secondo i dati Istat, vive in condizioni di povertà assoluta: cinque milioni 694mila individui non sanno come tirare avanti, per un totale di due milioni 217mila famiglie, cioè un milione 295mila bambini. La povertà assoluta è in aumento (il 9,7% della popolazione) e la Caritas nel 2023 ha sostenuto 269.689 persone, il 41,6 per cento in più rispetto al 2015. Quindi non va meglio. Va peggio. In quanto ai precari, sono 2,8 milioni, il 15 per cento dei lavoratori dipendenti e – riferisce un recente studio della Cgil – quasi due milioni e mezzo di lavoratori italiani guadagnano meno di 9,5 euro l’ora.

Allora una domanda: perché una persona che guadagna poco più di sei dollari al giorno o 9,5 euro l’ora dovrebbe sperare di continuare a vivere così per centocinquant’anni, o addirittura per sempre? Le innovazioni tecnologiche, l’intelligenza artificiale, la robotica, dovrebbero consentirci di lavorare meno e vivere meglio. Invece andiamo avanti con la testa rivolta all’indietro e, nelle dinamiche del lavoro, guardiamo a un mondo ottocentesco. “Nel 1891 gli italiani, che erano meno di 40 milioni, in complesso lavorarono per 70 miliardi di ore” ha ricordato il sociologo del lavoro Domenico De Masi nel bel libro La felicità negata. “Cento anni dopo, nel 1991, erano diventati 57 milioni eppure hanno lavorato solo 60 miliardi di ore producendo 13 volte di più. Oggi gli italiani sono 60 milioni, in un anno lavorano 40 miliardi di ore e producono 600 miliardi di dollari più del 1991. Tutto questo prelude a una progressiva riduzione del fabbisogno umano”.

Il sociologo Domenico De Masi

Il mondo dovrebbe perciò richiedere non più lavoro, ma più tempo libero, come già nel 1930 il grande economista John Maynard Keynes aveva profetizzato con il suo discorso sulle “Prospettive economiche per i nostri nipoti”. Immaginava che nel 2030, cioè fra cinque anni, sarebbe stata sufficiente una settimana lavorativa di quindici ore, tre ore al giorno. Lungimirante e visionario – come si direbbe oggi – Keynes non poteva però mettere nei suoi orizzonti un tipo geniale come Elon Musk, il quale, nominato dal presidente Donald Trump alla guida del Dipartimento per l’efficienza dell’apparato statale statunitense (Doge), ha licenziato più di 216.000 dipendenti in un solo mese (marzo 2025) dopo avere, tre anni prima, nel 2022, inviato una mail ai dipendenti della sua azienda, la Tesla, produttrice di auto elettriche, opponendosi allo smart working: “Chiunque desideri lavorare a distanza deve essere presente in ufficio per un minimo (e intendo minimo) di 40 ore settimanali o lasciare Tesla». Quindici ore a settimana? Contrordine, mister Keynes. Qualcosina di più: quaranta ore a settimana (più lo smart working).

“Gli effetti del neoliberismo sul lavoro – sono sempre parole di De Masi – si sono manifestati in termini sconquassanti di flessibilità, informalità, multiattività, discontinuità e precarietà. Il che significa insicurezza occupazionale, dequalificazione, riduzione del lavoro salariato, salari sempre più bassi, obsolescenza sempre più rapida delle conoscenze professionali e dell’esperienza, rischi sempre maggiori e sempre di più scaricati dai datori di lavoro sui lavoratori, diritti contrattuali sempre più ridotti, esclusione dai livelli di benessere raggiunti, dalle reti professionali e amicali consolidate, presa d’atto che la ricchezza è a termine mentre la povertà è definitiva, consapevolezza che ormai siamo tutti in soprannumero…”. Sembra parli di quei multimiliardari che, nel tentativo di allungare a dismisura la vita, anzitutto la loro, la rendono impossibile a migliaia di persone, dando ancora più fascino al mondo immaginato da Keynes, da De Masi e dal suo amico scrittore, divulgatore e regista Luciano De Crescenzo (quello delle medie ingannevoli), il quale lo tradusse in un precetto efficace quanto disatteso: la vita non bisognerebbe allungarla, bisognerebbe allargarla. Nel senso che andrebbe vissuta intensamente e meglio, non indefinitamente e, peggio, lavorando per meno di dieci euro all’ora.

E’ chiedere troppo? A quanto pare, sì.

Jeff Bezos, Luciano De Crescenzo e Elon Musk

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