La scomparsa del sociologo del lavoro che studiò Bagnoli e visse con sorpresa negli anni Sessanta in Puglia l’euforica nascita del più grande centro siderurgico d’Europa
Dopo una breve malattia è morto all’età di 85 anni il sociologo Domenico De Masi. Potrete leggere dai link in coda alla pagina (da Ansa e Fatto Quotidiano, il giornale con cui collaborava) il suo ritratto. Di seguito riporto uno stralcio di Generazione Ilva, il mio libro pubblicato nel 2012, in cui De Masi raccontò la sua sorprendente esperienza in Puglia.
di TONIO ATTINO
… A Genova s’è accertato scientificamente l’incremento dei tumori legati all’inquinamento. A Taranto ci siamo esibiti a lungo in disquisizioni filosofiche, spesso comiche, sempre scarsamente genuine e pilotate da interessi convergenti sui potentati della grande industria. Finché, dopo una trentina di anni di inchieste e condanne circondate dal silenzio di tutti, la magistratura – a febbraio 2012 – ha tirato fuori le perizie chimiche ed epidemiologiche in cui si arriva a una conclusione tutto sommato prevedibile: il centro siderurgico inquina e per l’inquinamento ci si ammala e si muore. Potevamo aspettarci qualcosa di diverso?
Conoscitore della storia siderurgica di Bagnoli quanto del centro siderurgico di Taranto, il sociologo Domenico De Masi trova lo scenario surreale e il dibattito un po’ tardivo, come se il tempo, qui a Sud, nella terra dei vecchi metalmezzadri, si fosse fermato. «Dobbiamo ricordarci che il mondo ha attraversato tre grandi fasi storiche. Al centro della società per settemila anni c’è stata l’agricoltura. L’ha poi sostituita l’industria, cioè la produzione di beni materiali, le fabbriche come l’Italsider e la Fiat. Nella terza fase, al centro della società si sono ritrovati i beni immateriali, l’informazione e i servizi, i simboli e l’estetica, la moda e il design. L’Italsider di Taranto è nata quando stava chiudendosi la fase della società industriale. Negli Stati Uniti si sviluppava la Silicon Valley, il mondo guardava oltre la produzione manufatturiera, ma in Italia economisti come Ezio Vanoni e Pasquale Saraceno, valtellinesi cresciuti in una civiltà rurale, consideravano l’industria il futuro. Invece era il passato. Perciò l’Italsider nacque come la fabbrica più moderna del mondo più arretrato».
Quando arrivò a Taranto prima dell’inaugurazione, De Masi fu sorpreso dalla grandezza del centro siderurgico costruito dallo Stato «e il professor Burkhardt, grande esperto di sociologia del lavoro che avevo l’incarico di accompagnare, era meravigliato da quanto poca manodopera richiedesse un simile impianto, ma io lo trovavo nel posto sbagliato. Più in sintonia con il contesto era a Maluku, nello Zaire, dove gli italiani in quel periodo costruirono un altro centro siderurgico. Io avevo studiato in Francia con Alain Touraine il quale nel 1959 aveva pubblicato La società post- industriale. Tornato in Italia mi accorsi che stranamente si stava industrializzando. Taranto era come mio nonno. In quegli stessi anni investì i suoi soldi su terreni privi di valore mentre Roberto Marinho in Brasile inventava Rede Globo. Il nonno non aveva capito niente, Marinho aveva capito tutto».
Quel mondo moderno e antiquato già mezzo secolo addietro ci sembra attualissimo ancora oggi, e la politica e le istituzioni seguitano a dibatterne come se il futuro dovesse ricominciare dagli altiforni, dalle ciminiere e dalla fabbrica dell’acciaio.
Sconosciuti fino a una decina di anni fa, gli effetti delle industrie sull’ambiente e la salute hanno scatenato i «moti anti industriali» contro i quali reagiscono affannosamente – usando le armi retoriche della difesa dei posti di lavoro e un illuminismo industrialista un po’ peloso – i politici e quegli stessi sindacati considerati dai «rivoltosi» i difensori di un mondo vecchio e i fiancheggiatori di un’economia speculatrice, velenosa, desertificatrice.
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Aggiunse il professor De Masi durante il nostro colloquio: «Io ho settantaquattro anni e trovo che non cambia nulla, il Sud non sa dove andare, non so neppure se il Sud esista. La città di Brasilia l’hanno costruita in quattro anni, noi dopo cinquanta non abbiamo ancora completato la Salerno-Reggio Calabria. In Puglia ci torno spesso, è la meno arretrata delle regioni arretrate, ma il suo reddito è la metà della Lombardia. Questi sono i fatti» .
Era il 2012.
da Generazione Ilva
Ansa/ Morto il sociologo Domenico De Masi
Il Fatto Quotidiano/ Addio a Domenico De Masi, il sociologo dei lavoratori